Tutto parte dal cuore

“La parola rivela i pensieri del cuore”, ascoltiamo nella I Lettura della IX domenica del TO.

Prima lettura

Il brano è tratto dal libro del Siracide, libro biblico che, secondo il canone cristiano cattolico, rientra nel gruppo dei così detti ‘libri sapienziali’. Il ‘Siracide’ è uno degli ultimi Autori a scrivere prima dell’èra cristiana e il suo tempo è caratterizzato dalla difficile convivenza dei giudei con la cultura ellenistica e con il suo Testo ‘risponde’ a questa situazione additando la vera sapienza presentata non come un prodotto umano, ma come avente origine dal Signore, e per il godimento dei suoi benefici il principio primo è il ‘timore del Signore’.

Nel Libro si leggono insegnamenti vari come i doveri verso i genitori, i consigli in merito all’amicizia, la carità verso i poveri, l’educazione dei giovani, l’atteggiamento verso le donne, i vizi e le virtù, … La pagina proposta a noi affronta la questione dell’‘uso della parola’. L’Autore si serve di tre immagini – il setaccio, la prova del fuoco e il frutto dell’albero – per rivelare che, con il loro parlare, l’uomo e la donna mettono in luce se stessi.

Attraverso il conversare l’essere umano fa palesare infatti le sue debolezze e i suoi “difetti”, ma anche il grado della sua intelligenza perché la parola è vista come il “frutto” del suo ragionare. Pertanto, come attraverso il setaccio si evidenziano le impurità, mediante il fuoco si prova il vaso e come il frutto rivela com’è coltivata la pianta, così il parlare dimostra la qualità morale e culturale di un uomo.

LA PAROLA della Domenica

PRIMA LETTURA
Dal Libro del Siracide 27,5-8

SALMO RESPONSORIALE
Salmo 91

SECONDA LETTURA
I Lettera ai Corinzi 15,54-58

VANGELO
Vangelo di Luca 6,39-45

 

Salmo

In risposta alla I Lettura è proposto il Salmo 91, lo stesso di cui la prassi sinagogale si serve come canto d’ingresso alla festa del Sabato. In esso si pone in risalto il corretto uso delle parole che fa il ‘giusto’ che è infatti colui che “loda” il Signore, “inneggia” al Suo nome e “annuncia” l’amore e la fedeltà del Signore. Per questo il “giusto” è paragonato alla “palma” e al “cedro” piante che rispettivamente significano vigore e solidità.

Seconda lettura

La II Lettura ci fa ascoltare la conclusione del cap. 15 della I Lettera ai Corinzi, capitolo in cui san Paolo affronta la verità della risurrezione dei morti.

Avendo ormai approfondito ogni aspetto, l’Apostolo esplode in un’esultanza del cuore ed afferma la vittoria definitiva del Signore sulla morte. E lo fa servendosi del metodo rabbinico detto del ‘principio di equivalenza’ secondo il quale due passi biblici contenenti termini simili, se messi a confronto, possono chiarificarsi reciprocamente.

Cita infatti due testi dell’AT per trasmettere nel primo caso (Is 25,8) il messaggio della sconfitta della morte “ingoiata per la vittoria” e nel secondo caso (Os 13,14), rivolgendosi con il discorso diretto alla morte stessa (“dov’è o morte il tuo pungiglione?”), l’abbattimento del “pungiglione” della morte. Quindi termina con un invito ad essere saldi e irremovibili, mostrando disponibilità e generosità all’opera di Dio nella consapevolezza che tutto ciò che l’uomo compie di buono non viene nullificato dalla morte.

Vangelo

La pagina del Vangelo secondo Luca continua il ‘discorso della pianura’ e il passaggio che ci riguarda presenta una parabola dall’inequivocabile messaggio: un cieco guidato da un altro cieco cadrà in una fossa come anche il suo accompagnatore.

Il cieco ‘accompagnatore’ è il discepolo che nella comunità assolve funzioni ‘didattiche’ e organizzative, ma, se non si lascia “preparare” dal suo maestro, causerà il fallimento suo e della comunità affidatagli. Prosegue poi l’insegnamento con l’immagine iperbolica della “pagliuzza” e della “trave” per esortare a non essere ipocriti ritenendosi maestri del discernimento se poi non si è in grado di valutare se stessi.

Nel contesto, per motivi ‘educativi’ si doveva esprimere un giudizio nei riguardi degli altri per correggerli e ricondurli ad una retta applicazione della Legge mosaica, ma questo non doveva essere fatto con superficialità o con l’atteggiamento di superiorità o, peggio ancora, con l’ipocrisia di chi chiama l’altro “fratello” come per dimostrargli sincero affetto, poi utilizza la debolezza del ‘fratello’ per nascondere la propria più grande e subdola.

Poi Gesù ricorre ad un’altra parabola il cui tema rimanda a quello della I Lettura. Come i frutti ‘buoni’ manifestano lo stato ‘buono’ dell’albero, così le parole e le azioni rivelano lo ‘stato’ dell’uomo. Nella mentalità semitica non c’è la considerazione ‘frammentata’ dell’uomo, per cui ciò che esprime una parola o un’azione mette in luce l’integrità dell’uomo stesso.

Se l’esternazione di una persona è cattiva, rivela la sua interiorità tutta cattiva, se invece è buona indica la sua interiorità tutta buona. Ciò corrisponde all’esigenza di concretezza propria della cultura del tempo di Gesù: l’identità di una persona si ricostruisce in base a ciò che di lei si vede e ciò che da lei si ascolta.

Tutto parte dal cuore “dalla cui sovrabbondanza parla la bocca”, sì, dal cuore, biblicamente inteso come la sede dell’intelletto, della conoscenza e della volontà.

Pertanto, lasciandoci provocare, quale tipo di interiorità intravedono gli altri sulla base delle nostre parole ed azioni? È il proprio il caso di invocare: “Donami, o Signore, un cuore semplice che tema il tuo nome” (Sal 85).

Giuseppina Bruscolotti