Incomprensibile referendum M5s

di Pier Giorgio Lignani

Prove tecniche di democrazia diretta? Se vediamo così la consultazione via internet, svoltasi lunedì 18 tra circa 50 mila seguaci del Movimento 5 stelle, dobbiamo dire che non è stata una bella prova.

Primo: perché non si sa bene che cosa rappresentassero quei 50 mila – pochissimi in rapporto ai milioni di elettori che un anno fa avevano fatto del Movimento il primo partito in Italia.

Secondo: perché non siamo nemmeno sicuri che tutti quei 50 mila abbiano capito con esattezza il quesito. Non lo dico io, lo ha detto Beppe Grillo in persona. Da parte mia, posso affermare che il quesito non lo ha capito bene nemmeno Marco Travaglio, direttore del Fatto quotidiano, uomo intelligente, acuto e bene informato.

Il suo editoriale di martedì mattina, che grondava sdegno per l’esito del mini-referendum, era tutto centrato sull’argomento che Salvini e gli altri dovrebbero affrontare il giudizio dei giudici e difendersi “nel” processo, non “dal” processo. Che è un argomento valido in sé; ma non è pertinente al caso in questione. Perché, secondo l’art. 96 della Costituzione nei processi a carico dei ministri per un atto di governo spetta al Parlamento, e ad esso solo, stabilire se quell’atto, benché vietato dalla legge ordinaria, fosse in concreto giustificato dall’interesse supremo della nazione.

Questo dice l’art. 96, e non è uno scandalo che lo dica: è una norma che istituisce una “causa di non punibilità” analoga, per capirci, alla legittima difesa.

Solo che sulla legittima difesa (che trasforma, in via di eccezione, un reato in un atto lecito o comunque non punibile) giudica lo stesso giudice penale; sulla eventuale (ed eccezionale) non punibilità di un atto di governo che di per sé sarebbe illegittimo, la Costituzione vuole che a decidere sia il Parlamento. In questo tipo di processi, dunque, il Parlamento è chiamato a decidere un punto della causa esattamente come se in quel momento fosse il giudice. È chiaro?

Spero di sì. È semplice? Non tanto. Non ha senso fare un referendum, anche ‘mini’, su questioni nelle quali una persona normale trova difficile non solo dare la risposta, ma perfino capire la domanda.