“Il mio sogno è che ciascuno abbia degli amici radicalmente diversi da lui, che si possa accettare e vivere l’avventura di una amicizia veramente sincera con gente che non ha la nostra stessa educazione, lingua, religione. Se riusciremo a fare questo, il mondo sarà migliore”. È il sogno di un giovane frate domenicano francese, Jean Druel, che al Cairo dirige l’Istituto domenicano di studi orientali.
Quello riportato è un breve passaggio dell’intervista pubblicata dalla rivista del Centro ecumenico di Perugia Una città per il dialogo. In questa frase di p. Jean ci sono alcune parole-chiave che riecheggiano in questi giorni in quella parte di società – e di Chiesa – che non si arrende alla cultura dei muri innalzati e dei porti chiusi. Sono le parole “amicizia”, “diversità”, “mondo”, e, pensando ai giovani anche la parola “sogno”.
Il “sogno” di p. Jean è il “sogno” di Dio che nell’incarnazione del Figlio si è fatto “amico” dell’uomo. E cosa c’è di più “radicalmente diverso” dall’uomo se non “Dio”? I cristiani con la preghiera del “Padre nostro” hanno imparato a pensare a tutto il genere umano come a dei fratelli, seppure tanto e a volte umanamente troppo diversi.
Certo è una sfida continua quella della accettazione della diversità di ogni genere che per i credenti diventa un invito che va oltre quando Gesù dice che dobbiamo “amare” anche i “nemici”. Per questo la questione dei migranti tenuti fuori dai nostri spazi mentali prima che geografici non è una tra le tante discutibili scelte politiche ma tocca nel profondo l’identità del cristiano.
Il vescovo Paolo Giulietti, nell’omelia per i primi vespri della festa del patrono di Perugia, san Costanzo, ha evidenziato il valore e la forza interiore di coloro che ascoltano la propria coscienza e, aggiungiamo noi, il proprio cuore e non si accodano al pensiero dominante. Come il vescovo Costanzo, nel II secolo, che per essere fedele a Cristo perde la vita a causa delle persecuzioni scatenate contro i cristiani per la loro religione.
E come i “Giusti delle nazioni” che negli anni della II guerra mondiale, a rischio della propria vita, hanno salvato la vita degli ebrei perseguitati a causa della loro religione. Nel Martirologio romano la Chiesa ricorda i martiri come esempi da seguire e fa festa per loro, perché dalla loro testimonianza è nato un mondo migliore. Anche i “Giusti delle nazioni” sono testimoni della possibilità che a tutti è data di poter scegliere tra l’essere umani, riconoscendo fino in fondo l’umanità di chi è “diverso”, ed essere invece disumani ovvero distruttivi per tutti.
Il vescovo di Terni, mons. Giuseppe Piemontese, ha usato parole chiare e forti per condannare il modo in cui sono trattati gli immigrati oggi nel nostro Paese. “Il timore per la propria sicurezza – ha detto – , la paura dell’estraneo e del diverso, lo stato di precarietà economica e sociale stanno facendo perdere quella lucidità mentale e quel coraggio civico che porta ad affrontare i problemi con razionalità, intelligenza, solidarietà e compassione. … Non sono nella condizione di fare la predica a nessuno, ma non posso non fare appello al senso di umanità dei cittadini, cristiani e non, anche in vista di evitare situazioni di ulteriori disagi per tutti”.
E infine, ma non ultimo, nel Messaggio per la Giornata per la vita i vescovi italiani ricordano che corriamo il rischio di abituarci alla sofferenza dell’altro pensando che non ci riguarda, e così concludono: “Vivere fino in fondo ciò che è umano migliora il cristiano e feconda la città. La costruzione di questo nuovo umanesimo è la vera sfida che ci attende e parte dal sì alla vita”.