di Daris Giancarlini
Il padre di Di Maio, ma anche quello di Renzi. E della Boschi. Ma, ancora prima, i figli di Bossi, il marito della ministra Guidi, e il figlio del ministro Lupi. E la moglie di Berlusconi.
La politica, e le famiglie, non lavano più in casa da decenni i propri panni. Che la giustizia, non i social o le tv, dovrebbero stabilire se sono sporchi o puliti. Ma tant’è: ormai tutto, o quasi, viene spiattellato senza possibilità di appello nella Rete o in diretta televisiva.
E la ‘condanna’ mediatica del parente si estende al politico: senza appello, senza possibilità di spiegare. Le vicende dei padri, delle mogli, dei figli, non è sempre automatico che debbano ricadere sul congiunto impegnato in politica. Congiunto che, alle diverse traversie dei consanguinei, reagisce in maniera diversa (dimissioni rare, a dire il vero…), ma comunque ne esce malconcio.
Nel Paese del rancore, non conta che il parente venga prosciolto dalle accuse: contano le accuse. Anche per far fronte alla gogna mediatica, al politico si richiederebbe una certa dignità, evitando di scivolare nel vittimismo e nel complottismo. Ma chi di gogna ferisce…