Come già accennato nel commento della scorsa domenica, per alcune settimane ci accompagnerà il testo del Vangelo di Giovanni sulla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Questo occupa tutto il sesto capitolo, e può essere organizzato suddividendolo in due parti principali: quella che leggiamo nella presente domenica – la sezione narrativa, che racconta lo svolgersi del miracolo -; e quella che si trova ai vv. 26-59, e che riguarda invece il discorso di Gesù sul segno appena compiuto.
Tutto prende l’avvio da una situazione contingente, come spesso accade nella vita di Gesù. Molta folla lo ha seguito, e ora sorge il problema di come occuparsi di questi poveri. Il dialogo con Filippo e Andrea serve ancora di più a enfatizzare la situazione di impasse: cosa farà Gesù? Come risponderà all’attesa di chi ha riposto la fiducia in lui? In un recente e bel commento al Vangelo di Giovanni, a cura del biblista gesuita Alberto Casalegno (Perché contemplino la mia gloria, San Paolo 2006), leggiamo: “La soluzione è trovata da Gesù, che si appella non alla logica dello scambio ma a quella del dono, mostrando che anche con risorse esigue, come quelle che il giovinetto mette a sua disposizione, si possono fare miracoli”.
Ecco che allora dal miracolo emergono due temi principali, che percorrono il Vangelo di oggi. Il primo è cristologico, il secondo eucaristico.Gesù è il Messia che sfama il suo popolo. Da come Giovanni organizza la scena, ci accorgiamo subito che viene dato rilievo all’iniziativa libera di Gesù. Anche se sembra che la situazione gli sfugga di mano (“Gesù vide che una grande folla veniva da lui”, v. 5), in realtà è lui a tenerla sotto controllo: ecco perché Giovanni spiega che Gesù “sapeva bene quello che stava per fare” (v. 6). Stava cioè per sfamare il suo popolo, un compito che spettava al Messia di Israele: “‘Gesù vuol far riposare i discepoli ma poi insegna [ricordiamo il Vangelo della scorsa domenica] e dà da mangiare, come la Sapienza che promette a chi l’ascolta riposo (Sir 6,28; 51,23-27) e nutrimento (Pr 9,1-6; Sir 24,19-21)” (E. Bianchi).
Ma perché il cibo, moltiplicato e dato da Gesù? Mangiare non è solo una necessità umana profonda, ma è il segno più forte di una dipendenza. Nel racconto della creazione nella Genesi, quando Dio plasma l’uomo e la donna dalla terra, il primo gesto che compie nei loro confronti è dare da mangiare. Li benedice, li invita ad aprirsi alla vita, e poi dice loro: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo” (Gen 1,29). Se Dio nutre l’uomo, l’uomo può solo accogliere quel cibo, o rifiutarlo. Non a caso, anche il peccato originario si consuma nel simbolo di un altro frutto, proposto da Satana, e desiderato dalla donna: ma non era quello il cibo che Dio aveva dato all’umanità! Nei testi profetici, poi, il cibo riveste un’importanza religiosa particolare, e anche il banchetto stesso diventa simbolo della venuta del Messia: Dio in persona avrebbe sfamato ancora una volta gli uomini, preparando “per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati” (Is 25,6).
Questo tema, però, nella scena di oggi si articola secondo un’ottica particolare, quella eucaristica. L’eucaristia e il pane moltiplicato. Come avremo già notato, anche se il testo parla della moltiplicazione dei pani e anche dei pesci, l’evangelista Giovanni sembra trascurare questi ultimi. La prospettiva dell’evangelista è infatti eucaristica. Prima del miracolo, Gesù rende grazie al Padre. Se questo è un gesto tipico dell’ebreo, che benedice Dio per ogni dono, è però un buon indizio della presenza di uno sfondo celebrativo eucaristico.
La comunità a cui Giovanni si rivolgeva, insomma, capiva senza alcun dubbio che celebrando l’eucaristia si riproducevano gli stessi gesti che Gesù aveva compiuto in occasione della sua ultima cena, ma anche altre volte, come quando quel giorno sul mare di Galilea aveva moltiplicato e distribuito il pane e i pesci. I dettagli che riguardano il pane “d’orzo”‘ e i “pezzi avanzati” da non disperdere, confermano l’interpretazione. Ecco allora che il miracolo di Gesù del Vangelo di oggi illumina anche il fatto della morte del Messia. Il corpo di Cristo, spezzato alla Cena, è il vero pane che sazia chi lo riceve. Mangiarlo significa lasciarsi ancora una volta nutrire da Dio, accettare di tornare bambini e prendere il cibo che ci viene dato e che non possiamo scegliere. Spezzarlo impegna la nostra stessa vita, perché sia donata a chi non ha pane e non sa ancora che il Padre, che ha la vita, ha mandato il suo Figlio per noi (cfr. Gv 6,57).