La forza solo apparentemente ‘debole’ della preghiera può fermare le bombe in Medio Oriente. Per questo, per invocare Dio e per riflettere, le Chiese cristiane e la comunità musulmana di Perugia si sono incontrate il 26 luglio, in concomitanza con il summit di Roma per il ‘cessate il fuoco’. All’incontro, tenutosi alle 10.30 in sala della Vaccara, hanno partecipato l’arcivescovo Giuseppe Chiaretti, l’imam Abdel Qader e Giovanna Bottoni, del Consiglio della Chiesa ortodossa. Anche la comunità ebraica, pur non presente fisicamente, ha fatto pervenire la propria adesione all’iniziativa. Abdel Qader, da cui era partita l’idea dell’incontro, ha cominciato citando una frase di Giovanni Paolo II: ‘Dobbiamo costruire un mondo in cui Dio sia al primo posto’. L’imam ha quindi impostato il discorso su un piano prettamente spirituale, sottolineando l’atteggiamento che Allah mantiene verso l’umanità. Dio vede tutti i nostri grandi errori, ma nella grandezza della Sua pazienza e misericordia è sempre disposto ad accoglierci. Occorre quindi che noi andiamo verso di Lui, svuotandoci dei pregiudizi che nutriamo contro gli altri esseri umani; in questo modo, avremo una buona coscienza che ci permetterà di trovare vie d’uscita. La religione, lungi dall’essere la causa dei conflitti, costituisce la strada giusta verso una loro soluzione. E dicendo ‘religione’, l’imam pensa di certo alla parola araba islam, che indica la sottomissione, l’abbandono fiducioso nelle mani di Dio. ‘Noi persone di fede, insieme – ha concluso Qader – possiamo fare tanto’ per il bene del mondo. Mons. Chiaretti ha anzitutto ricordato l’incontro interreligioso di Assisi di vent’anni fa. All’epoca era in corso un altro conflitto sanguinoso, quello nei Balcani. Fu in quell’occasione che Papa Wojtyla invocò la ‘forza debole che è più forte della guerra: la preghiera’. La pace – ha continuato l’Arcivescovo – ha bisogno di pilastri, dei quali il primo è la giustizia. Non a caso Benedetto XVI ha ribadito ripetutamente il concetto di ‘diritto’: il diritto dei libanesi alla sovranità del loro Paese, quello degli israeliani a vivere in pace, quello dei palestinesi ad avere una patria. Tuttavia ciò non è sufficiente. ‘La legge del taglione, occhio per occhio – ha detto ancora mons. Chiaretti -, è il massimo della giustizia. Tu cavi un occhio a me, e io a te… Ma pensiamo che, una volta fatto questo, si riuscirà a vivere in pace? Solo la riconciliazione e il perdono reciproco permetteranno di tagliare corto con la guerra, evitando di passare da una rivendicazione all’altra. È ciò che i cristiani chiamano amore: accorgersi degli altri’. In conclusione mons. Elio Bromuri, responsabile della diocesi per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, ha ribattuto al luogo comune per cui la Bibbia insegnerebbe a combattere in nome della fede. ‘C’è questo – ha detto – ma c’è anche l’opposto: un progresso verso forme sempre più alte di apertura. Un caso fra tutti, l’alleanza che Dio conclude con Noè dopo il diluvio, e che riguarda tutti i popoli, non un popolo solo’. Bromuri ha quindi ripreso a sua volta l’incontro di Assisi del 1986, che ha definito ‘la rivoluzione di Giovanni Paolo II’. Fino a vent’anni fa, infatti, in caso di guerra ogni nazione pregava per la propria vittoria; oggi, da tutto il mondo si innalzano preghiere per la giustizia e la pace a livello mondiale.
La forza dello spirito
Dialogo interreligioso. Nel giorno del summit di Roma, si è tenuto a Perugia un incontro per la pace tra i rappresentanti delle religioni. Per tutti, resta valido l'insegnamento di Giovanni Paolo
AUTORE:
Dario Rivarossa