di Alberto Campoleoni
Igor Maj era un adolescente come tanti altri. Esuberante, pieno di vita, coraggioso. Uno scalatore, un climber, uno che affrontava la roccia – e il pericolo connesso – dopo essersi preparato. Di lui ricordano gli amici di famiglia: “Lo abbiamo visto crescere in falesia insieme ai genitori, e lo abbiamo visto diventare un giovane uomo che strizzava le prese come noi, e così lo vogliamo ricordare”.
Già, ricordare. Perché Igor Maj è morto nella sua stanza, soffocato da una di quelle corde che normalmente gli serviva per dare fiato alla sua passione, la roccia, e che invece gli ha tolto l’ultimo respiro. Suicidio, hanno detto all’inizio gli investigatori. Ma poi, piano piano, si è palesata una realtà ancora più inquietante: Igor sarebbe morto facendo un “gioco”, visto in Rete, coinvolto da una sfida online, “Blackout”, che spinge a un’assurda gara tra chi resiste più a lungo in mancanza di ossigeno.
I genitori, infatti, hanno trovato un video, tra le ultime pagine web visitate, che autorizza a pensare come Igor sia rimasto intrappolato da un inganno in Rete. Viene da chiedersi come sia possibile una cosa del genere. Eppure il meccanismo della sfida, del mettersi alla prova fino al limite, dell’emulazione e della ricerca di approvazione da parte degli altri è cosa facile da trovare proprio negli adolescenti. In Rete, come nella realtà off-line. Lo raccontano gli psicologi, lo testimoniano tanti fatti di cronaca, magari finiti, fortunatamente, in maniera meno tragica di quello che ha coinvolto Igor.
Quanti ragazzi si spingono, ad esempio, a bere sempre di più, per vedere chi resiste? Magari fino al coma alcolico.
Il papà e la mamma di Igor hanno diffuso un appello a tutti i genitori: “Fate il più possibile per far capire hai vostri figli che possono sempre parlare con voi, qualunque stronzata gli venga in mente di fare devono saper trovare in voi una sponda, una guida che li aiuti a capire se e quali rischi non hanno valutato. Noi pensiamo di averlo sempre fatto con Igor, eppure non è bastato. Quindi cercate di fare ancora di più, perché tutti i ragazzi nella loro adolescenza saranno accompagnati dal senso di onnipotenza che se da una parte gli permette di affrontare il mondo, dall’altra può essere fatale”.
I ragazzi hanno bisogno di una sponda, di una corda – per tornare all’immagine dell’arrampicata tanto cara a Igor – che salvi la vita invece di toglierla. I genitori, certo, possono essere il primo riferimento, ma il più delle volte non basta.
Occorre una comunità intera che si faccia carico dell’accompagnamento educativo. Una comunità che comprende necessariamente la scuola, dove tra l’altro l’aspetto della formazione e dell’informazione può avere uno spazio decisivo. Soprattutto in rapporto a quella “vita digitale” di fronte alla quale tante famiglie sono o si sentono del tutto spiazzate.
Proprio la scuola può aiutare svelare i meccanismi del Web, decodificare la complessità del mondo virtuale che comprende un’infinità di contenuti buoni e terribili. Offrire delle competenze oggi più che mai necessarie. Una scommessa per la comunità scolastica – ed è una sfida più che mai attuale – è mettersi in gioco anche su questo terreno.