di Pier Giorgio Lignani
Il “contratto di governo” siglato fra Salvini e Di Maio vale solo per loro due, o al massimo per i rispettivi movimenti politici.
Infatti è il risultato di un confronto tra i ruspettivi programmi elettorali, nella faticosa ricerca di una sintesi che eliminasse tutti i punti in contrasto e rilanciasse le proposte su cui si potesse registrare una certa convergenza. Non dobbiamo invece prenderlo come una garanzia che quelle proposte saranno effettivamente realizzate. È lecito infatti sospettare che i contraenti non si siano preoccupati seriamente della loro fattibilità, che invece non è scontata; e lo è ancora meno se le si prendono in considerazione nel loro insieme. Prendiamo la proposta più attraente per la grande massa degli elettori: quella di una forte diminuzione delle aliquote delle imposte sul reddito. Di certo è facile raccogliere consensi elettorali promettendo una riduzione di tasse così marcata: ma sarà possibile che lo Stato rinunci di colpo a una grossa fetta delle sue entrate? Comunque, ammettendo che ci riesca, diventerà poi impossibile mantenere altre promesse già difficili, come il reddito di cittadinanza – sia pure ridimensionato a semplice sussidio di disoccupazione – o l’anticipazione dell’età pensionabile. Capisco che si diventa noiosi ribattendo sempre questo chiodo delle coperture finanziarie e delle compatibilità, ma non si può governare un grande Paese senza tenere d’occhio i conti.
Specie se si tratta di un Paese già indebitato in misura abnorme. Chi sostiene il contrario – come i sostenitori del nuovo Governo e dei suoi programmi – si appella all’autorità dell’economista Keynes (1883-1946), quello che ha inventato la teoria della spesa pubblica in deficit come motore dell’economia nazionale. Ma il fatto è che la ricetta di Keynes in Italia la stiamo applicando massicciamente da settant’anni, ed è ben per questo che ci troviamo indebitati come siamo; mentre lui l’aveva concepita solo come rimedio per superare una situazione congiunturale negativa.
Altrimenti vale il principio che “non esiste un pasto gratis”. Ricordarlo è antipatico, ma è così.