di Daris Giancarlini
Quella che mi permetto di raccontare in questa rubrica non è una storia di bullismo. Anche perché in quel periodo, inizio anni ’60, la parola neanche esisteva – dato che non esisteva il fenomeno del bullismo.
La storia riguarda me, che nel 1962, a 6 anni, sono salito per la prima volta su un autobus di linea per andare da casa mia alla scuola elementare, che si trovava nel paesino dei miei nonni. Poche settimane, e sono stato preso di mira da un ragazzo di 16 anni, che andava a scuola a Perugia, alle superiori: ogni volta che mi avvicinavo alla portiera per scendere, si avvicinava e mi dava uno scappellotto. Finché una mattina esagerò, e mi fece cadere dalla scaletta del bus: mia nonna, che mi vide in lacrime e con un ginocchio sbucciato, volle sapere tutto e, la mattina dopo, si presentò alla fermata. Quando si aprì la portiera, lei – un tipo piuttosto energico – salì sul bus, e sistemò la faccenda con un ceffone al ragazzotto fastidioso. Nel generale consenso dei passeggeri. E il ragazzotto, da allora, non soltanto smise di dare scappellotti, ma diventò la mia ‘guardia del corpo’. Ho raccontato questo piccolo episodio per dire che, mentre si licenziano leggi nazionali e regionali per combattere il bullismo, bisognerebbe ricordarsi che le persone moleste, irrispettose e maleducate sono sempre esistite. Soltanto che, fino a qualche decennio fa, erano considerati degli emarginati. Non degli eroi. Ragionare su questo, prima che su norme giuridiche che non possono prevedere tutte le situazioni – ci aiuterebbe a diventare, ognuno di noi, delle sentinelle anti-bulli.
Che è il modo migliore per evitare il prevalere dei maleducati.