di Paolo Giulietti
Ha fatto molto rumore sui media di tutto il mondo il rinvio a giudizio del card. George Pell, con l’accusa di aver abusato sessualmente di minori. Si tratta, infatti, dell’ecclesiastico più alto in grado finito dinanzi a un tribunale per motivi del genere, ma anche di un uomo di spicco nella Curia di Roma, stretto collaboratore di Papa Francesco nella riforma della gestione economica del Vaticano. Gli episodi sarebbero avvenuti a Ballarat, sua città natale, circa quarant’anni fa, quando era un giovane prete, e a Melbourne, verso la fine degli anni Novanta, dove era vescovo. Per questo il procedimento potrebbe anche essere sdoppiato, con un processo per ciascuno dei periodi interessati. Non si sa molto di più sulle accuse giudicate attendibili dal giudice di Melbourne Belinda Wallington, ma ci sarebbero sia azioni commesse in prima persona che “coperture” di sacerdoti colpevoli a loro volta di abusi. Il Card. Pell si è professato fermamente innocente: non potrà comunque lasciare il paese, né avere contatti con i suoi accusatori; dovrà inoltre dare preavviso alla polizia dei suoi spostamenti. La Santa Sede, per bocca di Greg Burke, direttore della Sala stampa vaticana, “ha preso atto della decisione emanata dall’autorità giudiziaria in Australia”, ricordando che l’anno scorso il Santo Padre aveva concesso al Cardinale un periodo di congedo per potersi difendere dalle accuse e che “tale disposizione rimane tuttora valida”. Ora la giustizia farà il suo corso, probabilmente in tempi abbastanza brevi. Va però notato che non ha suscitato commenti la notizia che il medesimo giudice ha respinto alcune delle accuse formulate durante l’udienza preliminare tenutasi circa un mese fa. Le ha cioè ritenute non attendibili, non sostenibili dinanzi a una giuria. Non è una novità, ma se ne parla poco: un numero rilevante di accuse di pedofilia o di abuso si rivela, dopo attenti accertamenti, infondato. Questo vale non solo per gli ecclesiastici, ma anche in altri ambiti della vita sociale, per esempio nelle cause di separazione o di divorzio, soprattutto per ciò che attiene a contrasti sulla custodia dei figli. Scrive il criminologo Luca Steffenoni nel saggio Presunto colpevole che “in Italia l’86% delle separazioni coniugali finisce con una denuncia penale per qualche delitto, e la tipologia più frequente è quella degli abusi sessuali”. Ma il 96% delle denunce, poi, si dimostrano false. Anche in diversi casi relativi a ecclesiastici le accuse si sono poi rivelate tali. Di tutto ciò, però, quasi nessuno scrive. Soprattutto nessuno dice cosa accade a chi accusa falsamente, facendo in modo che si istruiscano sui media pubblici processi che spesso formulano verdetti di condanna smentiti dalle aule dei tribunali. Probabilmente nulla. Il che è oggettivamente un’ingiustizia.