Trent’anni fa, il 6 giugno, un mese esatto dopo il terremoto del Friuli eravamo a Sammardenchia a nome delle diocesi di Gubbio e di Città di Castello. Un mese dopo, il 4 luglio, ebbe inizio ufficialmente il gemellaggio e cominciammo ad essere presenti e a operare a Sammardenchia. Sammardenchia: mai saputo che esistesse in Italia e al mondo un paese con questo nome. Un pensiero che allora ci attraversava la mente era proprio questo: come abbiamo potuto capitare quassù? Noi non li conoscevamo, gli abitanti di questo paese. Nemmeno loro conoscevano noi. Ma, sia loro che noi, conoscevamo il buon Pastore. A un certo punto Egli ci ha chiamato a partecipare alla sua conoscenza e al suo amore. Allora ci siamo guardati negli occhi, ci siamo riconosciuti e i nostri cuori si sono stretti la mano e da trent’anni questa conoscenza-amore sente continuamente di esprimersi in molti modi e nella semplicità. Trent’anni dopo siamo tornati quassù, il 6 e 7 maggio, per dirci che da quell’immane tragedia, come diceva mons. Battisti, è nata non un’esperienza, ma un rapporto vitale. E l’antica gioia dell’incontro è stata nuova”Come va?’ domandavo a Luigino, che conoscemmo ragazzetto e che ora è sposato e padre di Manuel. ‘Va bene, perché quanti si impegnano nel lavoro per la comunità aumentano sempre più’, mi ha risposto lui. La comunità, per quanto piccola, è stata sempre l’obiettivo primo di ogni abitante e famiglia di Sammardenchia. Abbiamo ritrovato una comunità, più piccola di allora, ma ancora viva. Essa sente che tutto deve essere vissuto al suo interno, tutto deve essere impiegato nel farla crescere, numericamente (nel senso di membri laboriosi), e anche, e soprattutto, nell’unità. Quello che ancora colpisce è la coralità con cui tutto viene vissuto e portato avanti, in piena sintonia fra anziani e giovani, anche quelli che sono nati dopo il terremoto, fra persone native e nuovi arrivati.La comunità, pur nelle immancabili difficoltà e in alcuni risvolti negativi, risalta come il luogo nel quale nascono e vivono i valori, che sostengono la vita, il senso dell’appartenenza, che non chiude al mondo circostante, e la partecipazione alla sua vita. Il 6 maggio 2005 è stato inaugurato il ‘Troi de memorie’: ‘Sentiero della memoria’. Quest’anno, alla presenza del sindaco di Tarcento e del Vicario della Zona pastorale, è stato inaugurato il secondo tratto.A partire dal terremoto e dalla forte esperienza della solidarietà avuta, si tuffano nel loro passato per far riemergere tutti i gesti di vita che hanno segnato la loro storia, attraverso pannelli di ceramica, affissi al muraglione in cemento armato, che sostiene la montagna, lungo la via che conduce alla chiesa: continueranno.Hanno celebrato, e noi con loro, la Memoria, che non è in funzione del folclore per attirare gente, ma che vuole riscoprire le radici della propria esistenza di popolo, per garantire ad esse una continua vitalità.Con questa opera visiva, che li coinvolge tutti operativamente, ricordano i fatti avvenuti, non lasciandoli nel loro passato, ma cogliendoli nel loro realizzarsi, perché continuamente nascano e producano frutti al presente e per il futuro. È la memoria intesa come memoriale. Una grande lezione per noi che spesso inventiamo cose per attirare gente o manteniamo in vita gesti di cui non comprendiamo più il senso e che ci legano a un passato che non esiste più e, perciò, sterile.
Memoria vi(si)va di un paese
Trent'anni dopo il terremoto del Friuli, visita della diocesi a Sammardenchia
AUTORE:
Don Vinicio Zambri