di Paolo Giulietti
Il Messaggio della CEI per il 1° Maggio prende spunto da un concetto ribadito con forza da Papa Francesco nel suo incontro di quasi un anno fa con le maestranze dell’Ilva di Genova: “il lavoro al centro di ogni patto sociale”. In altre parole, esso non va considerato un mezzo, ma un fine. Il che comporta che altre dimensioni legate all’attività umana, come il profitto e il consumo, debbano passare in secondo piano. Notano infatti i Vescovi che la ricerca del massimo utile dell’impresa e del massimo benessere del consumatore “hanno finito per mettere in secondo piano le esigenze della dignità del lavoratore indebolendo il suo potere contrattuale, soprattutto nel caso delle competenze meno qualificate”. D’altra parte, i lavori della recente Settimana Sociale di Cagliari hanno mostrato come in tante aziende del nostro Paese un lavoro “libero, creativo, partecipativo e solidale” sia già una realtà: è possibile rimettere al centro dell’impresa la persona e il suo lavoro, senza che questo pregiudichi l’efficacia produttiva ed economica. Il Messaggio prosegue con alcune richieste: alla pubblica amministrazione e alla giustizia si chiede di rimuovere lacci e ostacoli a chi intende creare lavoro; alle forze politiche la convergenza su una rete di protezione efficace per le categorie più deboli. Soprattutto, si chiede alle istituzioni formative e alle agenzie educative di non limitarsi a fornire ai giovani competenze e nozioni, ma di aiutarli a scoprire la “vocazione al lavoro”, suscitando “desideri, passioni e ideali”.
A questo potrebbe contribuire anche la festa del primo maggio, se parlasse non solo di problemi, come bisogna pur fare, ma della bellezza del lavoro: “un impegno che va anche oltre il suo risultato economico, per diventare edificazione del mondo, della società, della vita, […] chiave fondamentale per la generatività, ricchezza di senso e fioritura della vita umana”. A molti giovani, infatti, non mancano solo competenze e opportunità, ma assai spesso un’adeguata visione e le giuste motivazioni per affrontare il lavoro. Alla convinzione che un impiego “buono” sia assai difficile da trovare, si aggiunge la scarsa consapevolezza di come questo dipenda anche dal modo con cui ci si rapporta all’impegno lavorativo. È evidente che, più che prediche e lezioni, servono testimonianze: imprenditori e lavoratori che sappiano trasmettere la passione e l’orgoglio con cui si impegnano ogni giorno nella propria attività. Uomini e donne che vivano il lavoro non come una necessaria e triste incombenza da sopportare fino alle agognate vacanze o alla sospirata pensione, ma come una dimensione fondamentale della propria esistenza. Persone adulte che mostrino come mediante la propria attività contribuiscono al bene comune e possono prendere la parola in una collettività che si dichiara “fondata sul lavoro”. Lavoratori felici cercasi.