di Daris Giancarlini
“Spaccagli le gambe!”, ha urlato il padre al figlio di 12 anni impegnato in una partita di calcio della categoria Esordienti in un campetto del Piemonte. Sentito lo ‘sportivissimo’ incitamento, l’allenatore della squadra del possibile traumatizzato ha fatto interrompere la gara ed ha portato via i suoi calciatori. Scelta prudente, che fa ritenere notevole la distanza tra la concezione del calcio e dello sport dei due uomini in questione. Diverso l’atteggiamento dell’allenatore dell’altra compagine: “Avremmo dovuto continuare a giocare, e far allontanare i genitori dagli spalti”. Già, i genitori: per carità, da apprezzare il fatto che impegnino il proprio tempo libero per seguire i figli nello sport, magari ritenendolo strumento privilegiato per consentire ai propri pargoli di crescere in disciplina e rispetto del prossimo. Ma sono spesso questi stessi genitori – il caso del Piemonte non è il primo, e non sarà l’ultimo a importare nel mondo dello sport quelle stesse logiche e atteggiamenti da cui dovrebbero tener lontani i propri figli. Logiche e atteggiamenti di prevaricazione, di disprezzo dell’avversario di turno, di furbizia e sottrazione alle regole. Viene da pensare allora che, soprattutto il calcio, nella società che osanna il guadagno consistente conseguito nel minor tempo possibile, possa essere considerato da qualche genitore, che intravede nel proprio figlio una particolare inclinazione a questo sport, come mezzo per riscattarsi lui, il genitore – da una vita non proprio ricca di soddisfazioni. Fosse così. Povero calcio. E poveri figli.