di Daris Giancarlini
Non mi è capitato di sentire in tv, dove le vicende di Macerata hanno avuto uno spazio rilevantissimo, neanche un accenno, da parte degli esponenti politici chiamati a commentarle, alle vittime delle due tragedie: non un riferimento al rispetto che si deve all’epilogo tremendo della breve vita di Pamela, neanche un passaggio o una chiosa sugli immigrati feriti a colpi di pistola da chi si era messo in testa di “vendicare” Pamela. Di questi giovani, provenienti dall’Africa subsahariana, spesso non sono neanche stati pronunciati i nomi (che sono Mahamadou, Jennifer, Gideon, Wilson, Festus e Omar). Lo spazio mediatico, tutto lo spazio, se lo sono preso le polemiche che questi due fatti, tragicamente concatenati, hanno innescato nel grande calderone televisivo, più che mai in ebollizione per la campagna elettorale in corso. Questo del cortocircuito, perverso e distorsivo, tra mezzi di informazione e mondo politico sta diventando un fatto acquisito al giorno d’oggi, quasi un ‘male necessario’, specialmente quando si approssima il voto. Ciò che lascia sempre un po’ attoniti, e preoccupati, è la sempre maggiore contiguità tra i due mondi.
Contiguità basata su interessi convergenti, a partire da quello che per la politica si chiama consenso e per le televisioni audience . Quando taluni rilevano che a innescare reazioni come quella dello sparatore di Macerata sono i toni alti ed esasperati usati dalla propaganda politica, focalizzano solo una parte del problema, dimenticando cioè che chi dovrebbe orgogliosamente interpretare il ruolo di ‘cane da guardia’ del Potere, cercando anche di arginarne gli eccessi strumentali, troppo spesso e palesemente si accontenta di farsene megafono. Poi non ci si può lamentare se la considerazione per i giornalisti in Italia è ai minimi storici.
Perché quel megafono è girato dalla parte sbagliata, e le vite delle persone ‘normali’ non contano – mediaticamente – più niente. Se non servono a fare polemica.