di mons. Paolo Giulietti
Il 2018 sarà un anno decisivo per le politiche migratorie su scala globale, poiché le Nazioni Unite prevedono di stilare due “patti” (Global Compacts) per la gestione di migranti e rifugiati da parte degli Stati membri – ma Trump si è già sfilato, dichiarando le linee guida del documento “incompatibili” con le visioni della Presidenza Usa. La circostanza particolare, insieme alla crescente portata del fenomeno, che interessa 250 milioni di persone (tra cui 22 di rifugiati), ha indotto Papa Francesco a scegliere come tema della prossima Giornata mondiale della pace “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”. La data di pubblicazione del Messaggio, il 13 novembre, è anch’essa significativa; coincide infatti con i cento anni della morte di santa Francesca Cabrini, apostola degli emigrati italiani negli Stati Uniti e patrona dei migranti. Tra la fine dell’800 e il primo decennio del secolo scorso, quando si spostarono in America circa cinque milioni di nostri connazionali, la fragile suora di Lodi attraversò 24 volte l’Atlantico e fondò opere assistenziali in Italia, Francia,Spagna, Gran Bretagna, Stati Uniti, America Centrale, Argentina e Brasile, realizzando per i migranti – ha scritto Papa Francesco – “un accompagnamento pieno d’amore e di intelligenza”.
Il rapporto tra fenomeni migratori e pace globale è piuttosto evidente, non solo per il fatto che i flussi di rifugiati dipendono in larga parte dai conflitti armati o da altri fenomeni di violenza, ma anche perché lo spostamento di ingenti quantità di persone, soprattutto quando avviene per vie non legali, viene percepito come fortemente problematico e diviene causa di conflitto tra gli Stati e all’interno dei Paesi di accoglienza. Papa Francesco ricorda anche il degrado ambientale tra i fattori di innesco dell’emigrazione. La visione che il Messaggio intende accreditare è quella di un fenomeno da gestire certamente con realismo, prudenza e capacità di discernimento da parte dei Governi nazionali, ma sempre a partire da “uno sguardo carico di fiducia, come opportunità per costruire un futuro di pace”. Al di là della retorica della paura, “che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati”, il Papa rimarca il dovere di prendersi cura di ogni essere umano in difficoltà e l’opportunità costituita dal “carico di coraggio, capacità energie e aspirazioni” che essi portano con sé dai Paesi d’origine. Nella convinzione che l’incontro di popoli e culture che si realizza nelle migrazioni possa essere fattore di giustizie e di pacificazione globale. Per questo invita gli Stati ad adottare “una strategia che combini quattro azioni: accogliere, proteggere, promuovere e integrare”, come già proposto all’interno del Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2017. I due documenti vaticani (che stiamo commentando a puntate su La Voce) redatti per accompagnare il processo di redazione dei Global Compacts dell’Onu e orientarlo a “compassione, lungimiranza e coraggio”, esplicitano assai concretamente le implicazioni di tali scelte, che nel testo vengono sommariamente tratteggiate.
Il Messaggio non mancherà di suscitare polemiche, come accade per ogni pronunciamento sul tema sensibile dell’immigrazione.
Farà certamente discutere anche all’interno delle comunità cristiane, dove a volte la retorica della paura prevale sullo sguardo che dovrebbe scaturire dalla “sapienza della fede”, come auspica il Messaggio. Ben venga, comunque, la discussione, purché sia motivata dal desiderio di capire meglio e di individuare soluzioni ispirate non a cinica indifferenza, ma a responsabilità e realismo.
Accade infatti che gli stessi che liquidano Papa Francesco come “buonista” o “irresponsabile”, magari senza averne letto e compreso i testi, dimostrino una conoscenza parziale del fenomeno e delle sue cause, una notevole resistenza a considerare le proprie responsabilità, una marcata tendenza a difendere a ogni costo i propri intetressi.
Atteggiamenti che non hanno mai portato alla pace, che è opus iustitiae (frutto della giustizia), quanto a rovinosi conflitti e al degrado ambientale.