di Pier Giorgio Lignani
Sono abbastanza vecchio per ricordarmi il campionato del mondo di calcio del 1958 (io avevo 15 anni) giocato in Svezia e vinto dal Brasile del mitico Pelè. Era il secondo campionato del mondo trasmesso in TV. Ed il primo al quale non partecipasse l’Italia, che aveva vinto nel 1934 e nel 1938, vincendo anche le Olimpiadi del 1936. Quella volta a buttarci fuori dalle qualificazioni fu l’Irlanda del Nord. Sessant’anni dopo è stata la Svezia. Gli appassionati dicono che è una tragedia, per il calcio italiano ma anche per l’Italia intera.
Io direi di non esagerare con le recriminazioni; però che questa nazionale fosse al di sotto di un livello accettabile si era capito già da qualche anno, e i primi segnali si erano già avuti con i mondiali del 2010 e del 2014, praticamente all’indomani della vittoria del 2006. Questa volta, nel girone di qualificazione avevamo mostrato una netta inferiorità rispetto alla Spagna; eravamo comunque arrivati secondi rimediando vittorie stentate e qualche imbarazzante pareggio con avversari di basso profilo (Macedonia, Albania, Israele, Liechtenstein). Il secondo posto comportava la necessità di uno spareggio, e l’abbiamo perduto.
Il fatto è che usciti i veterani del 2006 non vi è stato alcun ricambio soddisfacente, perché il calcio italiano non lo fornisce. Questo accade perché le grandi squadre non puntano ad allevare giovani campioni, ma li acquistano all’estero, già formati, spendendo cifre pazzesche, giustificate dagli incassi altrettanto pazzeschi dei diritti televisivi. Il calcio è un gioco bellissimo se ben giocato, ma al livello professionistico – il solo che conta per il grande pubblico è inquinato dall’affarismo e dalla corruzione. Le più grandi squadre europee, comprese diverse italiane, sono diventate proprietà di grandi investitori transnazionali, per lo più asiatici o americani; e schierano calciatori ugualmente transnazionali, che passano di anno in anno dal campionato italiano a quello inglese, poi a quello francese, a quello tedesco e così via.
Sicché si capisce sempre di meno il fanatismo dei tifosi per squadre che a ben vedere non rappresentano più nulla. Morale: se nel 2018 la nazionale italiana non gioca il campionato del mondo, possiamo farcene una ragione.