Negli anni ’70 del secolo scorso a Gubbio il volontariato si configurò come un’autentica esplosione. Ho ricordato il Geia (Gruppo eugubino di iniziativa per l’anziano), ma potevo ricordare anche il gruppo della parrocchia di S. Agostino, quello della parrocchia di S. Martino, quello del Movimento studenti eugubino, quello degli scout; e si stavano formando anche i gruppi giovanili del Rotary e del Lions… La comunità “La Buona Novella” di Fabriano, nella quale vissi dal 1971 al 1974, era frequentata più da eugubini che da fabrianesi. Mi ci ero trasferito nel giugno 1971 e subito era stato tutto un accorrere di ragazzi a darmi una mano; e ce n’era bisogno. Ce n’era bisogno perché la Comunità di Capodarco aveva ricevuto in dono una metà della superficie di un bel palazzetto in via Gentile 26, appartenuto alla buona nobiltà provinciale, e quello che le era stato donato nel 1966 doveva essere utilizzato stabilmente da Capodarco, con una sua iniziativa, entro cinque anni: quel 1971 era proprio l’anno della scadenza. Ce n’era bisogno perché la piccola nobiltà provinciale che aveva posseduto quello stabile era incredibilmente litigiosa, al punto da mantenere, con le cause intentate ora a questo ora a quel parente, intere legioni di avvocati. La parte di palazzo che era stata donata a Capodarco era in uno stato di totale abbandono. Un centimetro di polvere su tutto il pavimento, il giardino ridotto a uno spaccato di foresta equatoriale. La porta che, nella serra, giù in fondo, si apriva sul giardino, era rimasta aperta decenni prima; e nel vano della porta era cresciuto un albero maestoso. I ragazzi cominciarono i lavori bendandosi il viso come i banditi di un tempo, per raccogliere la polvere in secchi capienti. Poi la Comunità ci procurò un paio di muratori, che con decine di ragazzi come manovali, ragazzi che da Gubbio si riversavano a Fabriano, a frotte, resero abitabile lo stabile per ottobre, quando da Capodarco venne a insediarsi a Fabriano il primo gruppo di disabili, tutti giovani che dovevano riprendere gli studi medio-superiori interrotti a causa della disabilità. Venivano da Gubbio e ci dicevano, tutti: “Ma aprite una comunità da noi, e vedrete quanto vi vuol bene la nostra gente!”. Era soprattutto il Centro trasfusionale dell’ospedale di Gubbio che insisteva: aprite una comunità, gli eugubini vi accoglieranno a braccia aperte! Il leader era il tecnico del Centro trasfusionale, Giulio Scarabotta, e con lui il titolare dott. Giuseppe Montanari, e gli altri tecnici, Oliviero Rosati e Gino “Maciste” Minelli. Ora, ditemi voi come fa a non essere “canagliesca” la nostalgia di quegli anni, oggi che certi operatori, che devono lavorare fino alle 22.30, alle 22.35 sono già in preda ad attacchi di tosse strazianti. Bah! Nostalgia canaglia e supercanaglia!
Canaglia e supercanaglia
AUTORE:
Angelo M. Fanucci