C’è qualcosa di nuovo oggi nella Chiesa… anzi, d’antico. L’enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est, ha infatti sollevato l’interesse dei mass media per quel suo ricorso sistematico al termine ‘amore’. ‘Sembra una parola nuova, inventata oggi – dice don Elio Bromuri, direttore del Centro ecumenico di Perugia – invece è la nostra parola di sempre. Gesù pregava: Che tutti siano uno, affinché il mondo creda’. Il commento è emerso al Centro ecumenico il 27 febbraio, durante una conferenza di presentazione del documento del Papa. Ad analizzare i contenuti della prima parte dell’enciclica è stato chiamato Antonio Pieretti, docente di Filosofia teoretica all’Università di Perugia. ‘L’amore – dice – fa ripensare sia l’identità di Dio che la nostra’, ripercorrendo quindi l’idea di Dio e di uomo nel mondo antico, in particolare quello greco. Dio era oggetto di desiderio, ma che cosa faceva per rendersi amabile? Quanto all’uomo, le sue aspirazioni non superavano il piano terreno. ‘La novità cristiana – continua Pieretti – è stata di introdurre un Dio che si dona, perché è costitutivamente amore. Cristo recupera, riabilita e purifica l’eros greco, cioè l’aspirazione a superare le nostre debolezze. Grazie a lui, il desiderio umano si incontra con l’amore gratuito e sovrabbondante di Dio’. La seconda parte dell’enciclica, dedicata al tema della giustizia, è affrontata da Roberto Gatti, professore di Filosofia politica nel medesimo ateneo. ‘L’epoca moderna – dice – ha ridotto il concetto di carità, presentandola come un intralcio della giustizia, o come un modo per riempire i vuoti lasciati dalla giustizia. Quanto all’eros, la sua carica vitale, corporea, è stata usata contro il cristianesimo’. Insomma, il fatto che il Papa riprenda i concetti di carità e di eros è una sfida. E lo fa con un taglio ‘laico’, offrendo riflessioni razionali che possano interessare credenti e non. Per trovare linee di convergenza, Benedetto XVI – secondo Gatti – segue sia una ‘via lunga’ che una ‘via breve’. Quest’ultima consiste nel trovare intese concrete nei casi di immediata necessità, per esempio nel campo del volontariato. La via lunga invece, in un orizzonte più ampio, consiste nel ridare importanza al concetto di ‘natura umana’, senza il quale diventa problematico non solo il discorso sulla bioetica, ma anche quello sulla giustizia sociale. Il vescovo, mons. Giuseppe Chiaretti, conclude l’incontro sottolineando la grande libertà di pensiero dimostrata dal Papa nel lanciarsi dentro il dibattito culturale. Al punto da dedicare un intero paragrafo dell’enciclica a un personaggio controverso come l’imperatore Giuliano l’Apostata, che tentò di ripaganizzare Roma: Ratzinger ne parla addirittura in positivo, cercando di comprendere le sue ragioni. Mons. Chiaretti sottolinea inoltre come il tema dell’importanza sociale della carità abbia numerosi antecedenti, dall’enciclica Dives in misericordia di Giovanni Paolo II, alla ‘carità culturale’ di Antonio Rosmini, a quella ‘politica’ di don Sturzo. Il Vescovo ricorda infine che la carità non è un ‘abbellimento’ dell’evangelizzazione, ma è essa stessa evangelizzazione. Nel Vangelo secondo Marco, infatti, il Gesù risorto invia gli apostoli non solo a predicare ma anche a guarire i malati, simbolo di tutta l’attività caritativa della Chiesa. Un’attenzione alle necessità più profonde del prossimo, che dovrebbe spingere anche la giustizia civile ad agire nel modo più appropriato, perché ‘senza la carità, la giustizia diventa ingiusta’.
Amore, nome antico e nuovo di Dio
Perugia. Al Centro ecumenico, incontro sull'enciclica di Benedetto XVI. Con Pieretti e Gatti, dell'Università, e mons. Chiaretti
AUTORE:
Dario Rivarossa