In questi giorni di grande caldo la città è stranamente silenziosa, anche la sera quando ti aspetti che tutti escano per trovare refrigerio nella brezza serale e ti aspetti di sentire le voci (gli schiamazzi?) dei ragazzi che in piena notte passano sotto le finestre ridendo e scherzando a tutta voce. È il segno che l’esodo è in corso. Non sarà più di massa come quando c’erano le grandi fabbriche anche nelle nostre città, ma chi può si allontana dal caldo, sì, ma soprattutto dalla routine e dai problemi. Per un po’ di tempo, una settimana, massimo due, si cambia aria. Proviamo ad immaginare le destinazioni delle vacanze: il mare e la montagna i più gettonati, il paese natale, in Umbria o fuori, e per molti altri piccole gite quotidiane non lontano da casa. Ma le vacanze non sono vissute da tutti allo stesso modo.
C’è chi si riposa facendo esperienze che chiedono fatica e impegno. Come i giovani dell’Agesci che, da tutt’Italia hanno deciso di vivere le loro “route” accanto ai terremotati; come Clelia, di cui abbiamo raccontato la scorsa settimana, che sta vivendo per un mese a Haiti accanto ai volontari che operano nei progetti Caritas attivati nel paese più povero del mondo; come quei giovani che hanno scelto di vivere le loro vacanze facendo un’esperienza spirituale da pellegrini in qualche parte del mondo o in qualche monastero o casa di esercizi in cui si confrontano giorno dopo giorno con la Parola di Dio, la preghiera, e con se stessi e con i fratelli. O come Papa Francesco che senza lasciare casa “Santa Marta” ha cambiato ritmi e impegni per dedicarsi anche lui alla sua anima, come si diceva una volta; o come i nostri parroci e vescovi che, anche loro si ritagliano tempi per lo spirito e per la famiglia, perché, anche se non ci si pensa molto, anche loro hanno genitori, fratelli, nipoti … affetti da coltivare e di cui rendere grazie a Dio.
In tutto questo se pensiamo ai nostri giovani amici, figli, nipoti, che si sono “inventati” un lavoro e nelle incertezze della libera professione riescono a sostenere la famiglia, ad accogliere figli, a ritagliarsi una settimana di vacanza, e dunque a guardare con speranza al futuro, non possiamo che essere contagiati da loro e guardare anche noi, genitori e nonni, al futuro nella certezza che sarà il “loro” perché costruito da loro. Ne conosciamo le difficoltà, le delusioni, la paura, a anche il coraggio e la gioia di vivere che mettono nel costruirsi la loro vita. È vero, ci sono tanti problemi. Cerchiamo di parlarne ogni settimana su queste pagine, anche in questo numero, ma la nostra fede ci consente, anzi ci “obbliga” a coltivare la speranza nel futuro. Speranza è una parola da recuperare, oppressi come siamo, spesso, da notizie che presentano i problemi come irrisolvibili.
Il card. Bassetti nell’intervista che ci concesse per i suoi 75 anni, spiegò cosa è, per lui, la speranza. “Possiamo dire che la speranza non è soltanto un progetto, la speranza non è soltanto un pensiero buono, ma è quell’aderenza così forte ai problemi per cui tu li risolvi. E li risolvi nella maniera giusta secondo il cuore di Dio e secondo le esigenze dei fratelli”. Le vacanze non servono, forse, anche a coltivare la speranza?