Ognuno di noi ha la sua quota di desideri e la sua quota di rimpianti. Ovvio. Dipende dal fatto che tutti abbiamo davanti un futuro intatto e un passato che invece troppo spesso somiglia a una fetta di gruviera, tanti sono i buchi. Desideri e rimpianti. Gli anni passano e si rattrappisce la quota dei desideri, e si dilata, slabbrandosi nei suoi confini sempre meno precisi, la quota dei rimpianti. In questi anni ne emerge in me uno che non avrei immaginato: il rimpianto, a volte pieno di astio, per chi quando ero giovane mi nascose la Bibbia. Non il Libro, ma i contenuti più vivi del Libro. Me li occultarono. Ce li occultarono. A me e a quegli altri 14 che come me vissero nel Seminario Romano Maggiore tra il 1955 e il 1961 (capirete perché uso il passato remoto). Canalini che oggi è Nunzio apostolico in Australia, Baldelli che oggi è Nunzio apostolico a Parigi, Marinelli che oggi è arcivescovo di Urbino, Molinaro e Spada che oggi sono tra i tenori solisti di non si sa bene quale università cattolica, Rosa che oggi è presidente del Tribunale ecclesiastico della nostra Regione, e’: ma li devo ricordare tutti? Mi ci metto anch’io, che 35 anni fa, in un passato ancora più (culturalmente) remoto di quello testé citato, imboccai la strada che la Chiesa di allora mi indicava con il cartello verde, quello delle autostrade; era l’autostrada della condivisione di vita con i poveri, quella che oggi, visto come si è rincicolita, nella prassi di Chiesa, l’istanza conciliare del ‘primato dei poveri’, sembrerebbe declassata a strada provinciale complanare, polverosa, piena di buche, senza cartelli indicatori. Frequentavamo tutti la facoltà di Teologia dell’Ateneo Lateranense (così si chiamava allora l’omonima università); nella sua prassi didattica la Bibbia entrava in gioco come controprova delle tesi di san Tommaso. L’introduzione alla Bibbia era affidata a Claudio Zedda, en c’è malaccio; l’esegesi biblica invece la teneva Francesco Spadafora, le cui tesi risalivano a prima della peste di Firenze (1348) ed erano la proiezione del suo fisico, prodigiosamente identico a quello che Orazio attribuisce a se stesso: basso, pelato, rotondo, con due gambe (presumibilmente) arcuate e soprattutto una rigogliosa produzione pilifera che fuoriusciva. La Bibbia fu per noi un pozzo chiuso. Sigillato. Un’occhiata ogni tanto. La copertura sollevata un attimo solo. Oggi che frequento Fonte Avellana, e mi si riempie la bocca di polvere a forza di tenerla aperta quando ascolto Alessandro Barban o Salvatore Frigerio che dal pozzo della Parola tirano fuori torrenti di acqua viva, sale il rimpianto per quello che allora ci venne nascosto. E questo non è giusto. Le carenze di allora possono servire da alibi alla nostra mediocrità di oggi: se non siamo diventati seguaci del Rabbì di Nazareth nella misura che allora ci ripromettevamo, possiamo sempre attribuirlo al fatto che la nostra gioventù teologica venne deprivata della Bibbia.
Rimpianto o astio?
AUTORE:
A cura di Angelo M. Fanucci