Dall’inizio del suo pontificato Francesco è tornato più volte sul tema della corruzione. Talvolta citandola apertamente altre volte parlandone tra le righe. La centralità e la trasversalità del tema della corruzione nel magistero di Francesco non deve stupire. Nella dottrina sociale della Chiesa, infatti, il termine corruzione viene utilizzato in un’accezione più ampia rispetto alla dimensione meramente giuridica, tesa piuttosto ad evidenziare come un sistema di convivenza sociale che ponga la corruzione quale paradigma dei rapporti interpersonali sia destinato ad andare in frantumi.
Per capire le azioni umane “occorre guardare alle relazioni che l’uomo ha nella sua natura più profonda” e, cioè, con Dio, con il suo prossimo, con il creato. La corruzione, pur nascendo dal cuore dell’uomo, finisce inevitabilmente per insinuarsi nelle costruzioni sociali, culturali, politiche, economiche e criminali innescando un circolo vizioso che lede la dignità della persona provocando in essa rassegnazione e umiliazione, generando una sotto-cultura che si traduce in un ordine sociale a sua volta corrotto, che compromette lo sviluppo materiale, sociale e spirituale di un popolo provocando ingiustizie e povertà. E a farne le spese sono sempre i più deboli.
Non si tratta (solo) di prevenire la commissione di reati o di dar vita a complessi sistemi normativi o repressivi anticorruzione, ma di combattere sul piano culturale quella diffusa “mentalità di corruzione pubblica e privata” che genera solo impoverimento e forme di esclusione, spezzando i legami sociali e privando il mondo della fiducia e della speranza che rappresentano, invece, l’autentico motore dello sviluppo umano integrale. La via indicata da Francesco, coerentemente con la sfida dell’inculturazione della fede annunciata nell’Evangelii Gaudium, è quella di un nuovo umanesimo nel quale credenti e non credenti possano riconoscersi e cooperare, ciascuno “secondo le proprie possibilità, i propri talenti e la propria creatività”.
Facendo appello in modo speciale alle coscienze di coloro che, in ragione del proprio ruolo, dei propri talenti e della propria creatività, possono maggiormente contribuire a innescare il circolo virtuoso delle istituzioni inclusive, Francesco invita coloro che si sono corrotti ad andare oltre se stessi, a “superarsi in spirito di ricerca”, spezzando le proprie catene facendo appello proprio alla misericordia che abbiamo contemplato e visto in azione durante l’anno giubilare e alla carità che da essa discende. Proprio la carità, che rappresenta la cinghia di trasmissione tra la misericordia di Dio e il nostro libero arbitrio, richiama l’attenzione sulla necessità di promuovere con le nostre azioni quotidiane, piccole o grandi che siano, un ordine sociale, economico e politico fondato sulla dignità e sulla libertà di ogni persona umana. A seconda dell’attività di ciascuno, è la carità infatti a dare senso autentico all’uso che facciamo degli strumenti a nostra disposizione – nel management, nell’azione politica, nella comunicazione, nelle aule dei tribunali, nella finanza, nelle università e così via – ponendoli al servizio della persona.
Richiamando il recente discorso del Ceo di Apple, Tim Cook, ai laureati del MIT, potremmo perciò dire che all’opposto dell’essere corrotto c’è l’essere al servizio dell’umanità. In relazione a qualsiasi attività, dalla più nobile alla più umile, essere al servizio dell’umanità significa essere sempre più consapevoli e responsabili, capaci di interrogarsi continuamente sul senso del proprio vivere e sulle conseguenze dirette ed indirette del proprio agire.