Parlando del caso Riina, abbiamo sfiorato il tema della pena e del carcere. Tema complesso, che non può essere liquidato in poche righe. E anche delicato: voci autorevoli nel mondo cattolico propongono l’abolizione del carcere, da sostituire con pene alternative tutte da definire; molti altri, al contrario, vorrebbero che tutte le pene venissero applicate in modo più severo e senza sconti. Perlopiù, questi ultimi dicono che la mitezza delle pene è offensiva verso le vittime. È un argomento debole: storicamente la civiltà del Diritto e dello Stato è cominciata quando si è stabilito che non spetta ai parenti del morto decidere la pena per l’uccisore. È questa infatti la linea che segna il confine tra la vendetta e la giustizia. La punizione del reo può avere – sul piano sociale e su quello etico – varie giustificazioni, ma quella di rendere una soddisfazione morale alla vittima (o ai suoi) è solo l’ultima e la più incerta.
Tradizionalmente invece si dice che la pena ha una funzione preventiva, e la svolge in due modi distinti. Il primo si chiama prevenzione generale: il timore della pena trattiene ogni singolo cittadino dal commettere reati. Il secondo si chiama prevenzione speciale: accertato che Tizio è un delinquente, lo teniamo sotto chiave così non farà più danni, almeno per un po’. Come si vede, si tratta di strumenti comunque parziali e imperfetti. C’è poi uno scopo ulteriore, il più importante, aggiunto dalla nostra Costituzione: ed è la “rieducazione” del reo. Questo obiettivo, però, non è un effetto del carcere in sé – che anzi in genere è tutt’altro che rieducativo – ma semmai di iniziative apposite che inevitabilmente comportano strumenti premiali, e dunque un’attenuazione del regime carcerario, e infine una liberazione anticipata. Anche in questo caso, il conseguimento degli obiettivi non è mai garantito. Non esiste una soluzione ideale. Probabilmente, nessuno potrà mai “rieducare” un soggetto come Riina – che, a quanto pare, vive come una “missione” l’essere il capo della mafia. Se è così, sarà pericoloso per la società fino al suo ultimo giorno. È per questo che la sua liberazione appare problematica. Ma va sempre trattato con umanità.