La corte di Cassazione non ha detto che Riina “deve” essere rimesso in libertà. Ha detto, invece, che in linea di principio anche un delinquente pluricondannato e non pentito come Riina – che ha diversi ergastoli sulle spalle e parecchi morti ammazzati sulla coscienza, fra cui Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino – quando giunge la sua ora ha diritto di “morire con dignità” (ossia, in pratica, fuori dalle sbarre). A meno che non sia dimostrato in modo convincente che rappresenta ancora oggi un pericolo attuale per la società. Insomma, la Cassazione ha detto che, per quanto gravi siano le colpe, viene un momento nel quale l’umanità del colpevole prevale sul diritto dello Stato (e della società) di fargli scontare la giusta pena.
Saranno poi i giudici del territorio a stabilire se questo momento sia effettivamente giunto per Riina, o se al contrario sia ancora un pericolo pubblico, per quello che egli è, non per quello che è stato. È una decisione pesante, che fa discutere; anche perché, ancora una volta, si tratta di una decisione che va al di là del testo della legge e si basa invece su princìpi di ordine superiore. Chi non la condivide ha le sue ragioni se dice che sciogliere certi nodi non spetta ai giudici ma, semmai, al legislatore.
Ma da qualche decennio, nella civiltà che chiamiamo occidentale, si è affermato il concetto che esistono princìpi generali e valori universali che prevalgono anche sulle leggi scritte dei singoli Stati; anzi sono state istituite Corti sovranazionali il cui compito è proprio quello di imporne l’applicazione. Una di esse è la Corte europea dei diritti umani, che ha sede a Strasburgo; questa, a proposito dell’ergastolo, con una sentenza del 9 luglio 2013 ha affermato che gli Stati possono anche mantenere nei loro Codici l’ergastolo (carcere a vita) ma sono obbligati a prevedere che il carcerato, trascorso un certo numero di anni (non più di 25), sia sottoposto a un riesame all’esito del quale possa ottenere una riduzione di pena. La decisione della Corte europea riguarda un problema diverso da quello del caso Riina, ma le tendenze di fondo sono simili: la legge è fatta per l’uomo, non l’uomo per la legge.