La più grande del mondo, però

Ma dove l’ho letta? Sono almeno quindici anni che me lo chiedo: dove l’ho letta? E non riesco a darmi la risposta. Si tratta di una frase che mi ha colpito come nessun’altra mai prima. Lessi: “Nel sec. XII i vescovi dell’Italia centrale crearono la più grande rete di accoglienza ai poveri che il mondo abbia conosciuto”. Non posso giurare che le parole siano proprio queste, ma il senso sì, il senso è proprio questo. Ma dove l’ho letta? Dove mai l’avrò letta? Dove, su quale testo.
L’unico “dove” che mi ricordo è l’edificio che ospita la biblioteca della facoltà di Teologia dell’università Lateranense, primo portico a destra; appena entrati da piazza S. Giovanni n. 4, in quel fazzoletto extraterritoriale (Città del Vaticano) che ospita il palazzo dei Canonici, il Seminario romano maggiore e l’università Lateranense. Presso l’istituto “Ecclesia Mater” di questa che, oltre 50 anni fa, quando ero studente, fu anche la mia Università, un 15-18 anni or sono tenni (con lo scarsissimo successo che mi si addice) diversi seminari sul tema “Chiesa e poveri, ieri e oggi”. Erano gli anni in cui andavo stendendo, a beneficio dei miei studenti alla Lumsa di Gubbio, il grosso di un’opera che non ho ancora terminato, Chiesa e poveri: un amore lungo e problematico, 600 pagine in A 4 che forse un giorno qualcuno pubblicherà. Di conseguenza vivevo uno stato d’animo del tutto particolare, uno stato d’animo che di quella frase fece una bomba destinata a deflagrare nelle pesanti contraddizioni della mia animula vagula blandula: capirete!, proprio “nel XII secolo”, e proprio “nell’Italia centrale”: è la collocazione storica e geografica di sant’Ubaldo. E quando si parla di sant’Ubaldo noi eugubini entriamo in ebollizione…
Oggi ne sto parlando con uno che a questi temi si appassiona quanto e più di me. Un Canonico regolare lateranense colto e con la faccia chiara che hanno le persone oneste fino in fondo. Dice: “Ma che t’importa il fatto di ritrovare o non ritrovare un singola frase! T’ha colpito, e ne capisco bene il perché. Ma anche indipendentemente da essa, tu lo sai bene che razza d’impegno la nostra Chiesa profuso per i poveri in quel tempo!”
Giè. L’acronimo NOSH (Nullum oratorium sine hospitito: impensabile un luogo di preghiera non abbinato ad un luogo d’accoglienza) non l’ho inventato io, l’ho solo riesumato. Era il motto che qualificava in quel tempo l’impegno caritativo di quei Canonici riformati che nel secolo XII vennero detti Canonici regolari. E che c’era dell’altro, oh! se c’era dell’altro!, in quel glorioso capitolo di una storia gloriosissima!
Ne parliamo la settimana prossima. Adesso anticipo la domanda: ma dietro questa intensa attività c’era, sì no, la coscienza che la Chiesa senza i poveri è solo una congrega di buontemponi?

 

AUTORE: Angelo M. Fanucci