Col vangelo di oggi siamo ancora all’interno della giornata-tipo di Gesù a Cafàrnao. Nello scorso commento abbiamo notato come il tempo narrativo venga qui descritto in modo accelerato: quel “subito” che l’evangelista usa tante volte, dice la fretta di Gesù per l’annuncio del regno. Ora, nel brano odierno, anche i luoghi sono presi in considerazione, come uno spazio che tende ad allargarsi sempre di più. Il movimento del racconto passa infatti dalla sinagoga della cittadina sul lago (Mc 1,29) alla casa di Pietro, poi ancora dalla casa a tutta la città (“alla porta”‘, v. 33), da una città ai villaggi vicini (v. 38); infine, dai villaggi fino a “tutta la Galilea” (v. 39).
Tutto lo spazio deve essere occupato da Gesù e dal suo annuncio. I personaggi del racconto sono i discepoli, la suocera di Simone, e soprattutto i malati. Sono questi ad impadronirsi della scena e a giungere alla presenza di Gesù: sono, come la suocera di Pietro, già dove Gesù si reca, oppure vengono portati a lui; ancora, lo cercano spontaneamente sin dall’alba dove egli sta pregando. La malattia incornicia il nostro brano: che si tratti di una febbre o di una sofferenza più profonda, spirituale o fisica (come quella causata dai demoni del v. 39), il vocabolario del campo semantico dell’infermità costella il racconto ed è presente in modo consistente, includendo tutta la narrazione. Veniamo allora a scoprire un altro senso delle prime parole di Gesù nel Vangelo secondo Marco, quelle per le quali “il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino” (Mc 1,15): il tempo e lo spazio, ma anche gli uomini e le donne sono “toccati” dalla pienezza della presenza di Dio; il regno di Dio è quello che permette l’incontro con Gesù. Gesù non compie solo attività terapeutiche: i suoi gesti sono accompagnati da parole, da insegnamenti.
Di segni, infatti, si tratta, per dire che il Regno è vicino: i miracoli annunciano e inaugurano il regno di Dio. Per questo motivo l’annuncio che “il Regno è vicino” è complementare alla parola “convertitevi e credete al vangelo”, perché le folle che accorrono da Gesù, davanti a questi gesti divini, sono chiamate a credere e a convertirsi. Se questo non accade, i miracoli non servono a nulla, come spiega Matteo: “Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere” (Mt 11,20-21).
La guarigione più grande che Dio può operare è quella dalle nostre incredulità. Il tema della malattia, si diceva, percorre il testo marciano. La sofferenza tocca ognuno di noi, ma “sperimentando nella malattia la propria impotenza, l’uomo di fede riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino”(Catechismo degli Adulti, La verità vi farà liberi, 1021). È la “conversione” alla quale sono chiamati i malati sanati da Gesù, anzi, alla quale siamo chiamati tutti noi. Un ultimo dettaglio: non è chiaro se esista una tensione nel testo, data dall’opposizione tra i “tutti” che accorrono a Gesù per essere sanati (vv. 32.33.37) e i “molti” che invece, effettivamente, sono guariti (v. 34): “Guarì molti che erano afflitti da varie malattie”. Questa tensione c’è, ad esempio per Enzo Bianchi: “Ci sono molti malati e indemoniati, ma non tutti vengono guariti: Gesù non guarisce meccanicamente, ne cura molti ma, a differenza del racconto di Matteo e Luca, non guarisce tutti” (Evangelo secondo Marco).
Una cosa però è certa: anche coloro che oggi soffrono per qualsiasi infermità, e tra questi noi, e forse anche i malati eventualmente “non guariti” da Gesù, tutti, comunque, saremo un giorno sanati dal Risorto. Il verbo che Marco usa per dire la guarigione della suocera di Pietro (“la sollevò”, v. 31) ha un valore profondamente teologico nel Nuovo Testamento, perché ricorre sì nei contesti delle guarigioni (Mc 2,9.11; 5,41; 9,27) ma soprattutto nel racconto della risurrezione di Lazzaro (Gv 12,1.9) e di Cristo (ad es.: At 3,15; Rm 10,9). Come Gesù è stato capace di sollevare la suocera di Simone, così sarà capace di dare la vita anche a noi. Si chiarisce allora la strada che vuol farci percorrere Marco per arrivare a conoscere chi è Gesù. Colui che nell’apertura del Vangelo viene definito come “Figlio di Dio” (Mc 1,1), come il Battezzatore nello Spirito santo (v. 8), come il “Figlio prediletto” (v. 11), questi è finalmente svelato nel suo essere nei confronti degli uomini: è colui che è “venuto” (“uscito”, alla lettera; cfr. v. 38) agli uomini perché lo ascoltino e siano guariti dalle loro infermità.