L’incidente sul lavoro del giovane operaio dell’Ast a Terni entra nella cronaca vacanziera di queste giornate di luglio in cui il caldo e le tante iniziative offrono momenti di svago ai turisti, e agli umbri che in vacanza non vanno perché lavorano … o perché il lavoro non ce l’hanno.
L’operaio di 35 anni lunedì è stato schiacciato da un “coil” pesante 20 tonnellate mentre lavorava. Soccorso immediatamente dai colleghi ora è in gravi condizioni in ospedale per un incidente che lo ha travolto mentre eseguiva manovre che ripeteva ogni giorno da diversi anni. E mentre l’autorità giudiziaria indaga per chiarire le dinamiche, e i sindacati hanno indetto lo sciopero tornando a chiedere l’aggiornamento dei protocolli di sicurezza, la famiglia, la fidanzata, gli amici e i colleghi di questo giovane sperano e pregano perché si salvi.
Ogni volta che viene messa gravemente a rischio la vita di chi lavora ci viene ricordato che il lavoro serve per vivere e non viceversa. E mentre si discute del futuro del lavoro prospettando la possibilità che l’uomo venga sostituito dai robot, ci viene ricordato anche che ci sono ancora lavori duri, faticosi e pericolosi che lasceremmo volentieri alle macchine come già si è fatto per molta produzione industriale.
Ma lavorare è importante, serve per vivere, per realizzare se stessi, per dare un senso alla propria vita e oramai da troppi anni si discute soprattutto del lavoro che manca, si teme che i robot ci rubino il lavoro e si affrontano dilemmi terribili in cui si è costretti a scegliere tra la salute e lo stipendio. Ricordiamo tutti il caso dell’Ilva di Taranto.
Papa Francesco parlando il 27 maggio a Genova, davanti a 3.500 lavoratori dell’Illva, e al mare da dove i suoi genitori sono partiti alla volta dell’Argentina in cerca di fortuna, ha detto che “l’obiettivo vero da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti”. Un mese dopo, il 28 giugno, parlando ai delegati della Cisl, ha chiesto “un nuovo patto sociale per il lavoro” che riequilibri le sorti e i destini reciproci di giovani e di anziani.
Il lavoro è considerato da Bergoglio una priorità assoluta fin dall’inizio del pontificato, come mostra l’Evangelii gaudium e le sue pagine dedicate a tratteggiare la condizione della maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo, alle prese con una quotidiana precarietà le cui conseguenze funeste alimentano la “globalizzazione dell’indifferenza” e producono la “cultura dello scarto”.
Per invertire la rotta occorre una nuova cultura del lavoro a partire dalla pregnanza di un termine-cardine per la dottrina sociale della Chiesa: dignità, che fa rima con speranza e ha un sapore di futuro intriso di un nobile passato di conquiste, da aggiornare ma non dimenticare o tradire. E nel discorso pronunciato al Quirinale Papa Francesco ha rivolto un nuovo appello per proteggere il lavoro da investimenti speculativi: la dignità della persona, la famiglia, il lavoro, sono i primi valori esemplari dell’Italia citati da Francesco.
La Chiesa italiana a Cagliari dal 26 al 29 ottobre prossimi, per la sua 48a Settimana Sociale ha messo a tema proprio “Il lavoro che vogliamo, libero, creativo, partecipativo e solidale”. Che vuol dire anche lavoro sicuro, lavoro in cui la vita del lavoratore sia per l’impresa un valore da tutelare e da promuovere.