E se smettessimo di pensare al problema dei migranti come “emergenza”, e prendessimo invece a vederlo come un problema strutturale che è appena cominciato ma non ancora esploso? E dunque, pensassimo non tanto a dare in qualche modo un letto e un pasto a mille, diecimila, centomila migranti sbarcati sulle coste meridionali, ma ci preparassimo all’esodo prossimo venturo di milioni, decine, centinaia di milioni di africani verso il Nord del mondo?
Allora sì che tutti gli Stati europei dovrebbero farsene carico, e alla svelta; non solo per discutere quanti ne prendiamo qui e quanti ne mettiamo di là, ma per programmare una ristrutturazione profonda dei nostri sistemi economici e sociali, ovvero, in alternativa, un intervento massiccio – e neppure immaginabile nella sua complessità – per cambiare il volto della società africana, fino a renderla paragonabile alla nostra quanto a sviluppo economico e servizi sociali. La prospettiva di un esodo di massa è sconvolgente, ma non campata in aria. Negli ultimi 25 anni la popolazione dell’Africa è poco meno che raddoppiata, crescendo di mezzo miliardo di individui; nei prossimi 25 anni si prevede che cresca altrettanto. Nel frattempo, la popolazione dell’Europa rimane stabile, anzi diminuirebbe se non ci fossero gli immigrati.
Ma come si vive in Africa? Nell’Africa subsahariana imperversano la fame o quanto meno la subnutrizione, la mancanza di acqua, l’analfabetismo, le malattie. In alcuni Stati i contagiati di Aids sono un quarto, un terzo, fino alla metà della popolazione; in altri, se vuoi un medico ne trovi uno ogni diecimila o ventimila persone, e non è detto che abbia i farmaci. Non parliamo dei conflitti etnici che provocano stragi e distruzioni.
Ce n’è abbastanza per spiegare perché masse di disperati preferiscano avventurarsi nel Mediterraneo su barconi a rischio naufragio. Si fa presto a dire “aiutiamoli nei loro Paesi”; non si riesce a tirare fuori dalla sua arretratezza l’Italia del Sud, figuriamoci l’Africa subsahariana. Davvero non resta che rassegnarsi all’esodo e prepararsi a gestirlo. Ma ci dovranno pensare tutti, non solo i popoli mediterranei.