L’Umbria in prospettiva

L'anno si chiude puntando i riflettori sull'economia. Va bene o male? A chi credere?

Alla fine di un anno, è giusto domandarsi a che punto siamo e fare un bilancio della situazione. In primo piano viene posto sempre l’aspetto economico. L’economia è divenuta il metro per giudicare un’intera società e ne è di fatto il motore. In questi giorni stiamo assistendo alla tempesta scoppiata nell’ambito della grande finanza, che coinvolge banchieri e politici ed ha portato alle dimissioni del governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. I fatti che avvengono a questi livelli sono complessi e il cittadino comune fa fatica a comprendere, né tanto meno è in grado di influenzarli. Troppo spesso ne è passivo spettatore o vittima. La difficoltà riguarda anche l’andamento dell’economia pubblica, in cui sono coinvolti direttamente i singoli cittadini e le famiglie. Ci si domanda se andiamo verso un periodo di impoverimento collettivo o un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Un’analisi corretta dovrebbe poter notare le luci e le ombre, il positivo e i negativo. Purtroppo anche in questo caso c’è chi insiste più sul primo e chi sul secondo. Vi è anche un interesse nel tirare le cose da una parte o dall’altra. Chi va a fare la spesa in un supermercato ha la sensazione che i prezzi ormai da tanto tempo siano andati generalmente aumentando, mentre stipendi e pensioni sono pressoché bloccati. E non è solo un’impressione, se l’Eurispes (Rapporto Italia 2005) ha calcolato che l’inflazione ha prodotto una perdita di potere d’acquisto dei salari intorno al 20% dal 2001 al 2004. In questi giorni sono stati riportati dai giornali alcuni dati provenienti da Bruxelles che, a proposito dell’Umbria, danno indicatori positivi riguardanti l’economia, riferiti al 2004: un aumento del Prodotto interno lordo (Pil) superiore alla media nazionale. Per il 2005, pur non essendo a disposizione dati certi, il tono dei commentatori dei fatti economici tende al positivo e riguarda i vari settori: produzione industriale, agricoltura, occupazione. Si dice che sia stato un anno faticoso e difficile e tuttavia complessivamente positivo. Non si riesce molto bene a stabilire di chi sarebbe il merito, se dei ‘miracoli’ vantati dal premier o delle politiche degli amministrazioni locali, oppure conseguenza della capacità degli imprenditori privati. Per molti cittadini queste domande non sono neppure proponibili, anzi provocano un certo stupore. Il sentimento comune della popolazione, infatti, non percepisce la situazione attuale come positiva e normale, ma è impregnato di notevole disagio, nel quale entrano in gioco anche altri fattori che i ricercatori di sociologia cercano di spiegare scientificamente ponendo una distinzione tra produzione e distribuzione del reddito, tra il possibile arricchimento generale e l’impoverimento di singole fasce di cittadini, tra la ricchezza apparente e la povertà concreta. Vi è anche il caso che in una stessa persona o famiglia si abbia un accettabile reddito e contemporaneamente si soffra di esclusione sociale, di esclusione dalla fruizione di alcuni diritti. Nell’attuale sviluppo della società infatti sembra rilevarsi sempre di più un processo di arricchimento di alcuni e un contrapposto processo di impoverimento di altri. Un anziano, magari non autosufficiente, potrebbe avere una buona pensione e tuttavia non trovare una persona che lo assista, costretto a rimanere solo. Quando sono esplosi gli incendi delle periferie di Parigi e di alcune città della Francia, il vescovo di Terni Vincenzo Paglia, in quanto responsabile della Comunità di Sant’Egidio a contatto con molte situazioni di emarginazione, non ha esitato a richiamare l’attenzione sulle periferie delle nostre città, che potrebbero esprimere simili manifestazioni di dissenso. Tutti conosciamo molti giovani che non trovano lavoro, e quando lo trovano è a tempo determinato, senza prospettive che vadano oltre un incerto precariato. Si sta verificando quello che già nel 1998 veniva notato dall’Osservatorio umbro delle povertà: ‘La povertà non sembra un’eredità del passato destinata a scomparire presto. Al contrario, appare come una componente strutturale inquietante, che pone molti dubbi sulla qualità stessa dello sviluppo. Crescono infatti contemporaneamente la ricchezza e la povertà, la produzione e l’esclusione’ (La povertà in Umbria – Osservatorio sulle povertà in Umbria – Irres 1998). Una tale prospettiva potrà essere mutata, almeno in parte, in Umbria se si svilupperà una strategia economica e politica che faccia leva non sulle concessioni o le briciole lasciate dalle multinazionali, ma sulle attuali e potenziali risorse originarie della nostra terra e della nostra popolazione, che sono la storia, l’arte, il paesaggio, la cultura, la dimensione mistica e spirituale, la tradizione francescana e benedettina, l’enogastronomia, la creatività imprenditoriale e la laboriosità del popolo, lo stile di vita sano sobrio e dignitoso. Per questo è necessario che insieme si costruisca un progetto e insieme si realizzi, superando molti campanilismi e ridicoli litigi che spesso affiornao senza pudore. Allora si potrà auspicare un buon anno, anzi un buon futuro per l’Umbria.