“Chi segue me, avrà la luce della vita” è l’invito che ci rivolge Gesù attraverso la liturgia della domenica in Laetare, IV di Quaresima. Gesù dona la luce a quanti vogliono accoglierla, come al protagonista della bella pagina evangelica. L’episodio viene descritto subito dopo che Gesù ha avuto un confronto acceso con i giudei, tanto che volevano lapidarlo; ed egli è uscito di nascosto dal Tempio. A questo punto Gesù vede un uomo cieco dalla nascita; unica occasione, tra le varie guarigioni di ciechi, in cui è specificato che lo era dalla nascita, dato che prelude a un evento straordinario. La presenza del cieco dalla nascita è motivo di discussione, tanto che i discepoli, condizionati dalla logica della ‘retribuzione’ (per cui a ogni azione corrispondono le equivalenti conseguenze buone o cattive), chiedono a Gesù se la cecità fosse la conseguenza del peccato dell’uomo o dei suoi genitori. Anche se già alcuni profeti come Geremia ed Ezechiele avevano criticato la ‘dottrina retributiva’, tuttavia a livello popolare essa sussisteva ancora. Ma Gesù non asseconda la logica popolare, e dichiara piuttosto che l’uomo è in quello stato “perché in lui siano manifestate le opere di Dio”, annunciando così il prodigio che, prima ancora di essere compiuto, è anticipato dalla definizione che Gesù dà di se stesso come “luce del mondo”.
Ora l’apice della scena, il miracolo: “sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi”. Perché il fango? Sant’Ireneo di Lione ritiene che il fango alluderebbe alla terra dalla quale è stato tratto il primo uomo. Gesù effettivamente dona la vita donando al cieco nato la vista. E il rimando alla creazione (luce, acqua, vita) è confermato dal fatto che poi il cieco è invitato da Gesù ad andare a lavarsi nella piscina di Siloe, piscina già menzionata dal profeta Isaia, sita fuori le mura della città vecchia di Gerusalemme e alimentata dalle acque del torrente Ghicon. Era un luogo significativo per gli ebrei, che vi andavano a festeggiare il ricordo del miracolo dell’acqua sgorgata dalla roccia. La tradizione afferma: “Chi non ha mai visto l’allegrezza della festa dell’attingimento dell’acqua, non ha mai visto in vita sua l’allegrezza autentica” (Mishnah Sukkat), in riferimento al corteo che andava ad attingere acqua in occasione della festa delle Capanne, e che aveva valore messianico (da qui il legame con il nome di Siloe che significa ‘Inviato’).
In questo luogo così significativo, il cieco andò, si lavò e ritornò che ci vedeva. Ora l’ex cieco fa un percorso di crescita spirituale. Come per la samaritana, anche per quest’uomo l’iniziativa è partita da Gesù; e come la donna è arrivata alla fede gradino dopo gradino nel dialogo con Gesù, anche il cieco guarito fa il suo percorso. Intanto viene convocato dai farisei, i ‘depositari’ della Legge. I farisei (= “distinti”) erano coloro che, nel corso delle persecuzioni di Antioco IV, avevano rifiutato l’infiltrazione della cultura ellenistica nel mondo giudaico. Si erano perciò dedicati all’approfondi-mento della Legge e continuavano a esserne i garanti. Per questo motivo, a volte potevano risultare intransigenti, e ciò non favoriva un sereno coinvolgimento del popolo alla vita religiosa. Per certi aspetti erano quindi rispettati – Flavio Giuseppe ci riferisce che erano “la setta più importante” (Guerra giudaica) –, per altri criticati. Il motivo per cui i farisei si oppongono a Gesù è proprio dettato dalla Legge, infatti affermano: “Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato”, ma d’altro canto c’è chi obietta: “Come può un peccatore compiere segni di questo genere?”.
L’indagine si spinge oltre, vengono chiamati in causa i genitori, i quali confermano la cecità dalla nascita del loro figlio (che ha certamente più di 13 anni, perché quella era l’età in cui si acquistava la maturità e quindi la capacità di testimoniare). Benché invitato dai farisei a dichiarare che Gesù era un peccatore, l’ex cieco afferma invece: “È un profeta” e, dimostrando di conoscere la Scrittura, dice: “Dio non esaudisce i peccatori”. Ecco pertanto l’evoluzione del percorso dell’uomo: guarigione, professione di fede, testimonianza, adesione piena a Gesù (“Credo, Signore”). Tutto si gioca sulla vista/luce: c’è chi non ha la vista ma acquista la luce, e c’è chi ha la vista ma ha perduto la luce. E noi? A quale categoria ci sentiamo di appartenere? Siccome nei brani di queste domeniche apprendiamo che Gesù fa il primo passo verso di noi, vigiliamo e accorgiamoci delle occasioni che Gesù ci offre venendoci incontro. “Non rimaniamo ‘ciechi nell’anima’, ma apriamoci alla luce, a Dio e alla sua grazia” (Papa Francesco). Lasciamoci curare e lavare per togliere le incrostazioni che non ci permettono di ‘vedere’. Sentiamo rivolto anche a noi l’invito che, con raffinatezza intellettiva e mistica, faceva santa Teresa d’Avila: “Benché fra noi la ‘terra’ non sembri tale da accecarci del tutto, scorgo però delle pagliuzze e delle piccole pietre che, lasciate aumentare, ci possono essere di danno. Per amor di Dio, serviamoci di questi difetti almeno per approfondire la nostra miseria e averne miglior vista, come dal fango il cieco nato, guarito dal nostro Sposo” (Il castello interiore).