Il Natale di chi rischia il posto di lavoro

Cisa/Tic. Perché i colossi Usa e norvegesi se ne vanno, e perché possono farlo?

Quarant’anni, una moglie e un figlio. Un mutuo per la casa. Vive come lui la metà degli operai della Cisa di Tavernelle. Da uno stipendio di 1400 euro al mese rischiano di passare, adesso che la multinazionale Ingersoll Rand abbandona, a 900 euro al mese. Via anche il premio di produzione annuo di 1500 euro e la quattordicesima. Gli americani della Ingersoll Rand comprarono la Cisa lo scorso gennaio. Nove mesi dopo, decidono di chiuderla per delocalizzare gran parte della produzione, quella migliore. Dove? In Albania, in Turchia e in Spagna. In Italia e in Umbria, la Cisa chiuderà i battenti il 28 febbraio prossimo. In funzione la mobilità, gli ammortizzatori sociali. Che fine faranno i 101 dipendenti fissi e i 30 a tempo determinato della Cisa? Una ventina avrebbe già autonomamente trovato un posto di lavoro, una quarantina dovrebbe continuare a lavorare nella metà dello stabilimento ex Cisa-Ingersoll Rand che forse sarà gestito dalla Cmt srl (Costruzioni meccaniche Tavernelle), una trentina sarebbe ricollocata in altro settore, con la mediazione della Regione Umbria. Tuttavia, di nero su bianco ancora non c’è nulla. La multinazionale chiude in Italia, ma non in FranciaIn Umbria, la multinazionale ‘a stelle e strisce’ Ingersoll Rand chiude un’azienda florida, tecnologicamente progredita e che sfornava ottimi prodotti. In Francia, grazie a leggi più difensive del lavoro e dei lavoratori, la stessa multinazionale non potrà chiudere un’azienda che fabbrica serrature ed affini di qualità inferiore a quelle di Tavernelle. ‘Il fatto è – spiega Roberto Pavoni, dal ’91 alla Cisa, attivista della rappresentanza sindacale di fabbrica – che il vuoto legislativo italiano sulle multinazionali è impressionante. Per la nostra classe politica, parlare di multinazionali e regolamentare la loro azione in Italia è un tabù’. Me ne vado, ma bonificoDi buono, nell’accordo raggiunto questa settimana fra le rappresentanze istituzionali dell’Umbria e Ingersoll Rand c’è che la multinazionale bonificherà il sito produttivo di Tavernelle. In altri casi, meno fortunati, le multinazionali acquisiscono ditte locali con marchi conosciuti e ‘forti’ (proprio come è avvenuto nel caso della Cisa) e pianificano la delocalizzazione: poi se ne vanno e lasciano pure ‘le cartacce in terra’. Qui Nera MontoroLuciano Erasti è un lavoratore turnista. Ha 53 anni, 7 trascorsi in mare sulle piattaforme petrolifere della Saipem Eni. Dal 1980, è alla Terni industrie chimiche (Tic) di Nera Montoro. È iscritto al sindacato. ‘Il Natale ci dà speranza, ma tutti i lavoratori della Tic sono ansiosi di sapere cosa deciderà la multinazionale norvegese Yara sull’impianto di produzione del nitrato di calcio’. Da giorni la Yara ha fermato l’impianto. Vi operavano 30 persone, fra lavoratori diretti e indiretti. Lotta sull’impianto del nitrato’La battaglia della Tic’ si consumerà tutta attorno alla sorte dell’impianto di produzione del nitrato di calcio. Che è il cuore dell’intera produzione della stessa azienda di Nera Montoro. La sua riconversione è cruciale per i 30 lavoratori di cui sopra e per tutti i 120 lavoratori della Tic, poiché l’impianto è il motore dell’intero ciclo di produzione. Senza di esso, in poco tempo, tutti a casa. Pertanto, la domanda che lavoratori, sindacati, politici e il management Yara si pongono in questi giorni natalizi è la seguente: è possibile riconvertire tale impianto? E come? I lavoratori sostengono che la cessata produzione di nitrato di calcio, creerà un surplus di acido, ottimo da utilizzare in una nuova produzione di fertilizzanti azotati. Ecco la soluzione o, almeno, una soluzione. Possibile tecnicamente. Ma serve la volontà politica della Yara, l’ok da Oslo. Arriverà? Tic, gli utili ci sono. Ma alla Yara non bastanoNel 2004 l’impianto di produzione del nitrato di calcio ha fatto guadagnare ai norvegesi 4 milioni di euro, l’intera Tic 10, negli ultimi 5 anni i fertilizzanti di Nera Montoro hanno portato nelle tasche della multinazionale norvegese 50 milioni di euro. Ma la Yara intravede altrove profitti ancora più alti e vuole spostare la produzione. ‘I nostri politici – commenta Erasti – da destra a sinistra, che ci rappresentano in Europa e in Italia, devono imporre dei ‘paletti’ alle decisioni delle multinazionali che operano in Italia. Come fanno i loro colleghi francesi’. Poi aggiunge: ‘E sarebbe proprio ora che la vicenda Tic – Yara arrivasse sul tavolo del ministro del Lavoro’. Ma ancora non c’è.

AUTORE: Paolo Giovannelli