L’8 dicembre 1995 la congregazione religiosa delle Figlie della Carità tornò a Perugia, dopo alcuni anni di assenza, per realizzare un nuovo progetto della Caritas: una casa in cui poter accogliere donne, madri in difficoltà. Dieci anni dopo a celebrare l’anniversario in quella che è stata una vera ‘festa di famiglia’, accanto alle vincenziane suor Nilde, suor Antonietta e suor Luisa, c’erano tanti amici e le mamme con i loro bambini. Si sono dati appuntamento lunedì 12, all’Oratorio di Santa Cecilia per un pomeriggio di incontro e testimonianze, proseguito nella chiesa di San Filippo per una messa di ringraziamento nel corso della quale sono stati battezzati Marco, Stefano e Giacomo, piccoli ospiti della casa. Ha iniziato le testimonianze suor Beatrice, visitatrice vincenziana, che di questi ‘dieci anni di vita intensi e pieni’ ha ricordato l’inizio. ‘Ci siamo sentite chiamate ad unire le risorse e le speranze e nessuno si è tirato indietro’ realizzando, insieme, Ordine e diocesi, un luogo dove le ragazze si possono ‘fermare un po’ di tempo’ per far crescere il bambino almeno un po’ prima di riprendere la loro strada’. Stella Cerasa, responsabile del Centro d’ascolto Caritas diocesano, aveva il compito di introdurre e presentare le testimonianze, e lo ha fatto come sa farlo chi di questi dieci anni conosce storie e speranze. ‘Sì, possono fermarsi un po”, ha detto riprendendo il discorso di suor Beatrice, ‘ma nel tempo attorno alla Casa si è costruita una ‘rete’ anche per un ‘dopo’, perchè non si esce dalla casa per tornare chissà dove ma per proseguire una vita’: lavorare, avere una casa propria dove crescere i figli, sposarsi. È quello che ha testimoniato Mimosa, arrivata dall’Albania nel 2001 con la figlia Sofia e accolta nella Casa dove ha imparato ‘a condividere anche i problemi degli altri’ come in una grande famiglia, pur correndo da un lavoro all’altro, anche quattro contemporaneamente. Oggi Mimosa ha una casa sua, aspetta un altro bambino ed ha un compagno con cui presto si sposerà. Eloina, cubana, è commossa anche lei. Qui ha trovato una seconda famiglia che l’ha accolta al suo ottavo mese di gravidanza ‘quando credevo di aver perso tutto’. Per lei la Casa non è un luogo qualunque ma ‘un luogo tra terra e cielo dove se hai perso la fede la puoi ritrovare’. Ma c’è anche chi in quella casa è entrata perchè ‘figlia’ di una madre con problemi e dopo aver provato un affido non proprio felice. Ha voluto fare la sua testimonianza per rispondere a don Lucio Gatti, direttore della Caritas diocesana, che si era domandato ‘cosa rappresenta questa casa per Perugia?’. Non è solo un aiuto alle immigrate ha detto Gaia. ‘Io sono di Perugia, sono entrata a 16 anni e casa San Vincenzo rappresenta i miei 18 anni. Qui mi sono diplomata, ed ora spero di laurearmi’. Ora vive da sola, studia e lavora ma la sua ‘famiglia’ è lì, e ricorda che ‘è importante anche il contributo materiale che fa sì che da lì tante persone sono ripartite per la loro vita’. La Casa è un miracolo reso possibile dall’affetto delle comunità religiose, dei privati e dal contributo che gli enti locali danno per i minori. ‘Nei primi anni andava tutto bene’ ha ricordato Nicola Albano, ‘economo’ della Casa, ‘ma oggi viviamo un periodo di crisi, la casa ha bisogno di sostegno per continuare il suo prezioso servizio’.
Piccola grande famiglia
Perugia. Casa San Vincenzo: dieci anni di accoglienza di donne e madri in difficoltà
AUTORE:
Maria Rita Valli