“Giustamente il sindaco [di Vitulano] fa riferimento a un recente accordo tra ministero dell’Interno e Anci, che prevede che nei Comuni dove si attivi uno Sprar, gradualmente e in maniera proporzionale, si arrivi alla chiusura dei Cas. L’accordo tra Ministero e Anci va nella direzione di una responsabilità di tutti i Comuni per un’accoglienza diffusa sul territorio nazionale – di mediamente 3 migranti ogni 1.000 abitanti -, che può evitare grandi concentrazioni numeriche in pochi Comuni e, al tempo stesso, favorire un inserimento sociale e culturale dei richiedenti asilo”. A dirlo è il direttore generale della Fondazione Migrantes, mons. Giancarlo Perego, commentando la notizia del sindaco di Vitulano, nel Sannio, che si è opposto a nuovi arrivi di migranti e ha emesso un’ordinanza che impone un blocco fisico (con un cumulo di terra) dell’unica strada di accesso. Dopo aver raggiunto un’intesa con la prefettura sul numero dei rifugiati da accogliere (da 34 a 12), l’ostacolo viene rimosso e il prefetto decide di chiudere la struttura privata. Per mons. Perego, “il problema vero, però, è che il passaggio da 150.000 accoglienze nei Cas e nei Cara dei richiedenti asilo agli Sprar, dove oggi sono accolti 23.000 richiedenti asilo e rifugiati, ha bisogno di tempi non brevi. Pertanto sarebbe stato importante spiegare ai sindaci, compreso quello di Vitulano, che prima di arrivare a questo regime virtuoso è necessario che da meno di 1.000 Comuni con uno Sprar si passi a tutti gli 8.000 Comuni. Più comunicazione istituzionale, anche in questo caso, non sarebbe stata inutile, soprattutto per i richiedenti asilo che ne hanno pagato le spese e si sono sentiti rifiutati”.
Sulla questione immigrati mons. Perego è intervenuto anche sabato scorso, definendo “deludenti” gli interventi urgenti in materia di immigrazione approvati dal Consiglio dei ministri venerdì pomeriggio. Tra i motivi della delusione, il “coniugare protezione internazionale e immigrazione illegale, immigrazione e sicurezza”. Per il direttore dell’organismo pastorale della Cei, “si sognano Centri di rimpatrio in ogni regione funzionali a un rimpatrio più facile, ma in condizioni non chiare di tutela; mancano completamente misure che riconoscano il valore premiale di percorsi di inserimento sociale e culturali avviati da oltre un anno (neppure i lavori socialmente utili servono a questo), dimenticando il popolo sempre più numeroso di diniegati; nessun accenno al Servizio civile per i rifugiati; la semplificazione dei procedimenti di esame non significa immediatamente capacità di riconoscere al meglio le storie dei richiedenti asilo e le forme migliori di protezioni”. Così “si è persa un’occasione importante – conclude mons. Perego – per percorsi e scelte già sperimentate sui territori, nelle città e nei Comuni e che favoriva dialogo sociale, inclusione sociale, sicurezza sociale dei richiedenti asilo e rifugiati”.