Con il brano di oggi finisce non solo – per quanto riguarda la liturgia – l’anno liturgico in corso, che lascia il passo al tempo forte dell’Avvento, ma anche l’insegnamento di Gesù nel Vangelo secondo Matteo. Subito dopo la nostra pericope ecco infatti che l’evangelista dà inizio al racconto della passione, morte e risurrezione di Gesù, in questo modo: “Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli” (Mt 26,1). Gesù insegnerà d’ora in poi in un altro modo, soprattutto con i gesti e l’obbedienza al Padre nella prova suprema della croce. Per questa ragione è rivestita di particolare importanza la pericope di oggi, l’ultimo discorso compiuto di Gesù in Matteo (senza contare, cioè, l’invito del Risorto a fare discepoli e a battezzare in 28,18-19, e le poche ma importanti parole dette durante la passione, a partire dall’ultima cena).
La scena del giudizio è esclusivamente matteana, ed è costruita in modo magistrale, con l’uso di vari espedienti quali ad esempio la ripetizione, utili per la memorizzazione. Molti sono i confronti che possiamo fare con il linguaggio e la simbolica di stampo apocalittico correnti al tempo di Gesù, e che appaiono di volta in volta nella letteratura canonica (Daniele e Apocalisse) ma anche in quella apocrifa. Ricordiamo solo che in un libro chiamato Enoc (Libro delle parabole), menzionato esplicitamente come Scrittura ispirata nella Lettera di Giuda (Gd 14-15), è descritta una scena simile a quella di cui parla Gesù: “Una metà di tutti i re, i potenti, gli eccelsi e quelli che posseggono la terra guarderà l’altra metà, si spaventeranno ed abbasseranno le loro teste e li prenderà pena nel vedere questo Figlio di donna (altri manoscritti hanno ‘Figlio dell’uomo’) assiso sul trono della Sua gloria”.
Anche i criteri attraverso i quali avviene il giudizio – cioè l’aver fatto o non fatto qualcosa a qualcuno – non sono estranei al giudaismo del tempo di Gesù, che aveva anzi codificato le opere di misericordia come quelle di cui si parla nel nostro brano. Il dato originale, rivoluzionario, invece, la novità che apporta il discorso di Gesù, “è che lo stesso giudice (il Re) si considera oggetto di tali azioni (‘Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, oppure non mi avete dato da mangiare’), e questo crea un effetto di sorpresa sia in quelli che gli hanno usato misericordia sia in quelli che gliel’hanno negata” (A. Mello). Da qui ne discende che se il giorno del Signore, secondo l’Antico Testamento, è decretato da Dio stesso, ed è quindi Jhwh l’unico che giudica, nella logica del Nuovo Testamento è Gesù, il Messia, che può intervenire in questo giudizio. Di conseguenza, Dio compie il giudizio, ma questo in nuce avviene già nel modo in cui ci siamo rapportati al suo Figlio in questo mondo, al Gesù presente nei poveri che hanno avuto fame e sete e che sono stati assistiti o meno da noi.
Ecco perché alla fine dei tempi, sarà Cristo-Agnello a prendere in mano il libro della nostra vita, quello che nemmeno noi siamo capaci di leggere e comprendere fino in fondo, e ad aprirne i sigilli (cfr. Ap 5). Fino al tempo in cui verremo giudicati vale quello che ha insegnato Gesù nel discorso della montagna: “Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati” (Mt 7,1-2). E poi sarà finalmente il giorno della risurrezione. Come insegna il Catechismo degli adulti della Cei, “alla risurrezione sarà congiunto il giudizio universale, separazione del buon grano dalla zizzania, delle pecore dai capri. Anzi Gesù dichiara di aver ricevuto dal Padre il potere di risuscitare e di giudicare; perciò verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Gv 5,28-29) (1210).
Il Concilio lateranense IV spiega: “Gesù Cristo verrà alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti e renderà a ciascuno secondo le proprie opere, sia ai reprobi che agli eletti. Tutti risorgeranno con i propri corpi, gli stessi di adesso, per ricevere ciascuno secondo le loro opere, cattive o buone, gli uni la pena eterna con il diavolo, gli altri con Cristo la gloria eterna”. La scena qui raffigurata, quasi più che in quella evangelica, è terribile. Inutile ingannarsi: la possibilità di un giudizio di condanna incombe e grava su coloro che compiono opere di male. L’unica salvezza, è riporre la nostra speranza e la nostra fede nella misericordia di Dio, e convertirsi per riconoscere, in chi ha bisogno e nel prossimo, la presenza del Cristo Re, su questa terra ancora in cerca del nostro aiuto.