Nella sua parte terminale, l’ultima delle lappose abat jour che ormai da tempo immemorabile tediano i lettori de ‘La Voce’ ha citato Vito Mancuso e la sua precisa/spietata analisi del meccanismo che garantisce il successo miliardario dell’industria dell’intrattenimento. Vorrei conoscerlo, Vito Mancuso, di persona; anche perché oggi me lo immagino sempre con le sgradevoli fattezze dell’altro Mancuso, quello che qualche anno fa fu ministro (della Giustizia?) con Silvio, quando ancora il sorriso di Silvio, convinto di rimanere a Palazzo Ghigi a tempo indeterminato, era all’acme; ebbene, ad onta di quel sorriso Mancuso aveva la faccia puntuta e incarognita di chi ha passato la vita a mettere i puntini sulle ‘i’, su tutte le ‘i’ capitate a tiro. Ma i due splendidi saggi che quest’altro Mancuso, quello giusto, ha pubblicato da Mondadori, ‘Il dolore innocente’ e ‘Per amore’, meritano ben altra considerazione che non quella di un brillante analista/sociologo, sono un balcone che si affaccia su ben più vasti e ariosi panorami. Vito Mancuso è uno di quelli che anche in teologia hanno paura che le parole si logorino e finiscano per non dire più nulla. Uno di quelli che temono che anche il Nome Santissimo possa logorarsi; temono che, quando qualcuno avrà inventato un ‘Gratta e vinci’ utilizzabile anche come test per verificare lo stato di salute della nostra fede, dietro la parola ‘Dio’ possano emergere solo vaghe paure inconsce, assortite forme di assicurazione in vista della vita eterna a prezzi stracciati, pigrizie ataviche appena indorate da una patina di porporina, che tutto è tranne che fede. Mi sembra un atteggiamento da condividere. In questo mi conforta l’antico Socrate, che della saggezza filosofica diceva quello che noi dovremmo ripetere all’ennesima potenza quando parliamo di saggezza teologica: ‘Saggio è colui che sa di non sapere’. E mi conforta ancora di più il carissimo padre e maestro Carlo Maria Martini, quando dice che ‘il credente è un ateo che sta cominciando a credere’, mentre ‘l’ateo è un credente che sta smettendo di credere’. Il più bel capitolo de ‘Il dolore innocente’ è quello che s’intitola ‘Processo a Dio’. Un processo vero, con tanto di giuria popolare, di pubblico ministero, di fascicoli impolverati, di agguerrito Collegio di difesa. Ritmato da una serie di ‘Vostro onore’ da fare invidia al made in Usa. Dal processo Dio risulta colpevole. Incontestabilmente, irrimediabilmente colpevole: nessuna pena sarà mai adeguata alla sua colpa. Colpevole d’aver abbandonato la sfera della sua infinita perfezione per mischiarsi con noi vermi. Di aver abdicato al titolo di Signore per assumere la qualifica di complice. D’aver invertito la direzione del vettore della storia, che da quando Lui è sprofondato nella nostra condizione non sale più dal basso verso l’alto, ma scende dall’alto verso il basso. Colpevole.
Il Dio colpevole
AUTORE:
Angelo M. Fanucci