Abat jour – Già con Papa Giovanni

Don Angelo Fanucci
Don Angelo Fanucci

Ai nostri giorni il rapporto concreto che lega un Papa ai fedeli affidati al suo servizio è dunque drasticamente cambiato. “Drasticamente cambiato”: dovrei dire “sconvolto”.

Nel modo di presentarsi e di parlare di Pio XII c’era una dirompente carica di sacralità: quando Pacelli apriva le braccia in tutta la loro larghezza, per impartire la benedizione urbi et orbi, sentivi che in lui c’era tutta la coscienza del pontifex, del “ponte” unico e immenso che collega l’Umano al Divino.

A distanza di poco più di 50 anni (una bazzecola, per i tempi della Chiesa), Papa Francesco si preoccupa di avere addosso anche lui, come augura a tutti gli altri Pastori della Chiesa, l’odore della pecore.

Ma già Papa Giovanni aveva intimamente assimilato, nel suo quotidiano, quel tipo di prossimità al fedele: innanzitutto come uomo. A titolo di esempio trascrivo per intero il famoso “Discorso della luna”.

È la sera dell’11 ottobre 1963, il giorno che ha inaugurato il Concilio. Giovanni XXIII è stanchissimo. Ha appena recitato compieta con don Loris, fa l’atto di ritirarsi nella sua stanza. Ma il suo segretario muove appena la tenda della finestra che dà su piazza San Pietro ed esclama: “Santo Padre, ma c’è tanta gente!”. Sono soprattutto i giovani dell’Ac di Roma che sono lì per festeggiare un giorno che per loro sarà sicuramente unico.

E il Papa Buono dimentica la stanchezza e appare nel vano della finestra: “… Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera… Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo… Noi chiudiamo una grande giornata di pace… Sì, di pace: gloria a Dio, e pace agli uomini di buona volontà. Se domandassi, se potessi chiedere ora a ciascuno: voi da che parte venite? I figli di Roma, che sono qui specialmente rappresentati, risponderebbero: ah, noi siamo i figli più vicini, e voi siete il nostro vescovo. Ebbene, figlioli di Roma, voi sentite veramente di rappresentare la Roma caput mundi, la Capitale del mondo, così come per disegno della Provvidenza è stata chiamata a essere attraverso i secoli. La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore… Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà… Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: ‘Questa è la carezza del Papa’. Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto. Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi figli specie nelle ore della mestizia e dell’amarezza… E poi tutti insieme ci animiamo: cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino. Addio, figlioli. Alla benedizione aggiungo l’augurio della buona notte”.

Adesso prendete in affitto i 40 volumi della Storia dei Papi di Ludwig von Pastor e, quando trovate un altro discorso papale che assomigli a questo, fatemelo sapere. Vi prometto una medaglia al valore.

AUTORE: Angelo M. Fanucci