Mentre cercavo di fare ordine alla mia confusione cronica, tra zaino, felpe e appunti per l’inizio del catechismo parrocchiale, mi è arrivato un messaggio di Maria Rita Valli che chiedeva la disponibilità a scrivere un articolo su La Voce. Se fosse stata un’altra persona probabilmente avrei rifiutato, ma non potevo dire di no a Rita, che ha le radici a Scheggia, la parrocchia che mi ha custodito fino al 2014 e che ha mostrato la sua misericordia verso di me. A Scheggia, Isola Fossara e Pascelupo mi sono sempre sentito accolto, libero di essere me stesso, parte di una comunità con le sue gioie e le sue sofferenze. Ricordo che un giorno, da pochi mesi arrivato, non organizzai la processione del Venerdì santo per alcuni imprevisti, pensando che, in fondo, non era poi così importante… Per fortuna la Pasqua era vicina, quindi mi perdonarono in fretta per quella ingenuità. Ecco, la misericordia, noi sacerdoti spesso la incontriamo nella comprensione della gente, spesso più paziente e saggia di noi. Comunque… meglio non tirare troppo la corda. La stessa esperienza la sto vivendo anche ora, che sono in una frazione alla periferia di Gubbio, Padule, parrocchia di Santa Maria Ausiliatrice. Una realtà in evoluzione che posso descrivere a metà tra una frazione con una sua precisa identità e una periferia di città. Come sono arrivato in diocesi a Gubbio? Un viaggio che parte dalla Valtellina: Sondrio è la mia stazione di partenza, una città incastonata in mezzo alle Alpi, passando per il Perù su un treno che si chiama Operazione Mato Grosso e che toccò anche Gubbio.
Ho saltato alcune stazioni intermedie per evidenziare i luoghi dove maggiormente ho sperimentato la cura e la sollecitudine di Dio. A Sondrio ricordo la mia famiglia, gli amici e gli animatori incontrati sia nell’oratorio dei Salesiani sia con il gruppo dell’Azione cattolica del mio quartiere. Per me la Misericordia ha assunto spesso il volto del gruppo di amici con il quale giorno per giorno sono maturato, persone che mi hanno accompagnato e appassionato alla vita. Comunque ho sempre avuto una naturale ricerca del senso della vita, che mi porta tutt’ora a essere facilmente insoddisfatto di ciò che sono e vivo. Forse è anche questo vuoto che mi ha portato a incrociare la mia vita con l’Operazione Mato Grosso, un movimento giovanile che si ispira alla figura di san Giovanni Bosco e di san Francesco. Se dovessi paragonarlo a un’automobile, per me è stata la Ferrari tra i cammini e i movimenti formativi che ho incontrato. Così, come quando ti innamori e perdi la testa, anche io a 22 anni nel giro di pochi mesi iniziai una nuova vita e mi ritrovai felice a lavorare per i poveri nel mio tempo libero, raccogliendo ferro in Valtellina, aggiustando biciclette nel gruppo di universitari di Pavia, sistemando sentieri o costruendo rifugi sulle Alpi, gustando una vita che non sapevo neppure lontanamente di avere e ricevendo in dono nuove amicizie e incontri entusiasmanti in giro per l’Italia.
Quante vite non sarebbero sbocciate, quante vocazioni inascoltate senza questa esperienza! Ricordo padre Ugo de Censi, sacerdote salesiano, guida dell’Operazione Mato Grosso; mentre ero in Perù per due anni di volontariato, dopo avermi conosciuto mi disse: “Per me hai la vocazione a essere prete, una vocazione che non hai mai voluto ascoltare finora…”. Mi disse ciò che era sempre stato sepolto dentro di me, nascosto dietro a pregiudizi e paure. Fu facile ascoltarlo, per il suo luminoso carisma e anche perché ero circondato da altri amici che si stavano aprendo a nuove scelte di vita. Molti di questi ora sono sacerdoti, alcuni vivono in Italia, altri in Sud America e qualcuno è avanti a noi, già in Cielo che ci aspetta. Per me la Misericordia è stata, ed ancora è, l’esperienza di uno shock che sveglia dalla mediocrità del mondo e, come dice Papa Francesco, “che ci spinge ad alzare lo sguardo e sognare alto”. Per questo don Lorenzo Milani spronava i sacerdoti a essere profeti, dicendo: “Star sui coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo. Rendersi antipatici, noiosi, odiosi, insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce. E splendenti e attraenti solo per quelli che hanno grazia sufficiente da gustare altri valori che non siano quelli del mondo”.
I miei travagli interni sento onorevolmente non soli. Quando mi sento intensamente attanagliata dai sempre più perchè, non avendo la meravigliosa fede dell’indimenticabile nostro don Gaetano, mi rifugio in Platone che diceva:Una vita non analizzata non ha valore, ma quella analizzata non è un affare.