Ci chiedevamo: cosa possiamo fare noi cattolici per combattere la crisi morale che, denunciata con grande lucidità da Enrico Berlinguer nel 1976, tuttora imperversa. Cosa possiamo fare per smontare quelle sue due branche tritatutto: l’occupazione del potere, sine die, da parte di Lorsignori, e l’uso e l’abuso quotidiano della raccomandazione. Ormai l’“aiutino” da parte del senatore o dell’onorevole ha sostituito il merito nell’assegnazione di questo o quel posto nella pubblica amministrazione, o nell’aggiudicamento di questo o quell’appalto, magari (toh!) miliardario. Due enormi tenaglie disposte a cerchio, che non solo sono la primissima causa dell’astensionismo elettorale galoppante, ma si mangiano – letteralmente – la politica come “arte del bene comune”: la mangiano e l’ingollano senza masticarla. Cosa possiamo fare noi cattolici, che non siamo dei James Bond contro la Spectre, ma dei topolini di fronte a una forma di parmigiano che come circonferenza ha l’Equatore.
Credo che occorra, da parte nostra, un recupero culturale di fondo. La cultura cattolica (dato e non ammesso che questo sostantivo e questo aggettivo possano andare tranquillamente a braccetto a lungo), nella sua inesausta calibratura di un sempre più autentico colere seipsam (coltivare se stessa), ha compiuto un grande passo avanti con Papa Bergoglio: Ignazio e las favelas, le due radici culturali ultime della presunta eccezionalità dell’azione pastorale del gesuita argentino, che non solo ha rimesso al centro della sua azione evangelizzatrice il servitium autentico (in alternativa alla potestas), ma ne ha esteso enormemente il raggio d’azione, definendone l’impegno, oltre che a beneficio della Chiesa, anche (e non subordinatamente), a servizio del mondo intero.
Una novità? Sì, una novità che domenica scorsa ha compiuto 55 anni. Esatto, perché era l’11 settembre del 1961 quando Papa Giovanni lanciò al mondo un radiomessaggio in occasione dell’imminente Concilio, che poi riuscì a prendere l’abbrivo a un anno, un mese un giorno di distanza da quell’uscita settembrina del Papa Buono. Il Papa Buono disse: “In faccia al mondo intero, e soprattutto in faccia alle nazioni emergenti, da oggi in avanti la Chiesa di Cristo sarà la Chiesa di tutti e soprattutto la Chiesa dei poveri”. Sembrava una battuta, era una profezia. “La Chiesa di tutti”. È il destino delle maggiori intuizioni di Giovanni XXIII, a cominciare da quelle che gremiscono la Gaudet Mater Ecclesia, l’omelia che tenne – in latino – nel pontificale di apertura del Concilio: lì per lì sembrano ovvietà, ma il tempo passa e le banalità si rivelano intuizioni profetiche. Da usare – e torniamo a noi – nella catechesi e nel kerygma, come facciamo da duemila anni.