La parabola dell’amministratore scaltro ha sempre suscitato perplessità in ognuno di noi: com’è possibile che il Vangelo presenti un uomo disonesto quale modello da cui imparare? Perciò alcuni commentatori, nello sforzo di attenuarne il disagio, attirano l’attenzione sull’ambiente palestinese e sui suoi costumi. I grandi proprietari terrieri, per lo più stranieri, avevano alle proprie dipendenze degli amministratori locali, ai quali lasciavano grande libertà e piena responsabilità: loro compito era di realizzare per il padrone il profitto pattuito, ma, una volta assicurato questo profitto, avevano anche la possibilità, maggiorando il prezzo, di realizzare guadagni personali. Questo era consentito. Si può dunque pensare che l’amministratore, nell’intento di procurarsi amici che lo avrebbero aiutato nei momenti di difficoltà, abbia semplicemente rinunciato alla propria parte di profitto, senza danneggiare il padrone. Ciò renderebbe più credibile l’elogio di quest’ultimo. Ma è un’ipotesi inutile. La parabola, infatti, non attira l’attenzione sui mezzi a cui l’amministratore ricorre per farsi degli amici. Il vero centro della parabola è racchiuso nella constatazione che “i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce”. Bruno Maggioni, nel suo libro Le parabole evangeliche (Vita e pensiero, Milano 1992), afferma che “la parabola non dovrebbe essere intitolata ‘l’amministratore infedele’, come spesso avviene, bensì ‘l’amministratore astuto’”. Appena si accorge che il suo futuro è in pericolo, volge a proprio vantaggio la difficile situazione in cui è venuto a trovarsi. Non solo il padrone lo loda, ma Gesù ci dice anche di imitarlo. Ci chiede di essere altrettanto scaltri, col fine di farsi amici per guadagnarci il regno dei cieli. Sembra che l’amministratore disonesto comprenda che non può più fare gli affari suoi, non può più gestire la vita in modo disonesto-egoistico, è cosciente che è arrivato il tempo di procurarsi degli amici per “salvarsi”. Gesù ci chiede di usare l’astuzia che usiamo per i nostri affari, anche nelle cose di Dio.
La prima scaltrezza sta nel distinguere una ricchezza vera da una falsa. Tutti i beni di questo mondo sono una ricchezza falsa, non hanno stabilità. Appoggiarsi a loro significa rimanerne delusi, svuotati, depressi. A questo punto dobbiamo farci furbi e sapere come usare di questi beni, per non diventarne schiavi. Il denaro è uno strumento che può essere usato per amare, oppure ci si fa usare da esso. In Giovanni 8,34 Gesù afferma: “In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato”. L’uso dei beni al di fuori dell’amore porta alla schiavitù. Infatti noi non dobbiamo distinguere “buoni” da “cattivi”, ma “schiavi” da “liberi”. Ecco che allora, usando con sapienza e amore il denaro, ci acquistiamo beni eterni. Infatti non c’è via di mezzo, secondo Gesù: o si serve Dio o la ricchezza. Un’ultima cosa: ma chi sono questi amici da conquistarci affinché ci aiutino a entrare nel regno dei cieli? Sono i poveri. Il mio prossimo, mia moglie, i miei figli, i miei colleghi di lavoro, e Gesù aggiunge: “il mio nemico”. È l’amore che ci salverà, è l’Amore che ci giudicherà, e un amore che non ‘fa male’ non è amore vero. Santa Teresa di Calcutta diceva: “Il vero amore deve sempre fare male. Deve essere doloroso amare qualcuno, doloroso lasciare qualcuno. Solo allora si ama sinceramente”. “Chi è fedele nel poco sarà fedele nel molto”. La fedeltà alle piccole cose è il vero specchio dell’amore. Ricordiamo un aneddoto, sempre di santa Teresa nel rispondere a un giornalista che le chiedeva come si potesse promuovere la pace nel mondo. La religiosa rispose: “Vai a casa e ama la tua famiglia”. Per poter essere fedeli alle grandi opere, bisogna essere fedeli alle piccole. Santa domenica a tutti.