La forma lunga del Vangelo di Luca di questa domenica propone le tre “parabole della misericordia”: la pecora perduta, la dramma perduta, il figliol prodigo. Gesù racconta queste tre parabole perché provocato dagli scribi che mormorano: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Per loro è ingiusto che Gesù accolga i peccatori. Nelle prime due parabole l’accento è posto su ciò che è perduto: la pecora smarrita e la dramma nascosta. Ciò che il Signore mette in risalto nella prima parabola è l’attitudine di questo pastore che lascia le novantanove pecore nel deserto e va in cerca di quella perduta finché non la trova. È chiaro che Gesù intende stimolarci una domanda: “Perché Dio ci cerca?”. Dio ci cerca per lo stesso motivo per cui il pastore cerca la pecora: perché sa che c’è, perché esiste. Dio non dimentica nessuna delle Sue pecore, ognuna è fondamentale, fino al punto di andare a cercarla se si perde. Così la donna spazza accuratamente finché non ritrova la moneta persa: lei sa che erano dieci, non si confonde su questo punto. Tanto meno afferma che di una moneta, in fin dei conti, se ne può fare a meno. Sia la donna che il pastore non si danno pace fino a quando non trovano ciò che era andato perduto. Dio è insistente e misericordioso perché in noi vede ciò che è mancante, ciò che è latente, ciò che è perduto. Quante volte mi capita di guardare una persona e di non vederci niente di buono, di disprezzarla? Dio invece la guarda in altra maniera, perché vede delle potenzialità che io non vedo – e non voglio vedere. Infatti Dio ci ha insegnato milioni di volte, e i santi ci sono testimoni, che Lui può trarre da un peccatore incallito un grande santo. Dio può trarre da un violento una persona piena di misericordia, da un ladro una persona generosissima. Dio cerca e trova, in me e in te, quello che non sapevo fosse presente e che le persone non vedevano. Dio cerca in ognuno di noi suo Figlio: ecco la moneta, il valore nascosto che Dio cerca in noi. Ecco perché Gesù accoglie i pubblicani e i peccatori; perché sa che dentro di loro c’è qualcosa di perduto che va cercato, e una persona “che ha sbagliato” non è una persona “sbagliata”. Da sempre la Chiesa ci mette in guardia dal cadere nell’errore di identificare peccato e peccatore. Dio ci conosce e ci guarda, ma noi non abbiamo gli occhi di Dio, per cui vediamo l’altro in maniera errata. Qualsiasi peccato, qualsiasi regione lontana possa abitare il tuo cuore, tu sarai sempre Suo figlio.
Per Dio, ciò che conta, sempre, è ciò che sei. Anche se il peccato ti imbruttisse a tal punto da essere irriconoscibile agli occhi umani, per Dio sarai sempre Suo figlio, e ti verrà a cercare per donarti il Suo amore misericordioso, per farti sapere che ti ama, e ti ha amato, fino alla morte in croce. Dio non si accontenta di novantanove pecore, le vuole tutte e cento; non gli bastano nove monete, le vuole tutte dieci. Questo è lo zelo di Dio. Dio è assoluto, ama in modo assoluto. È come se un mio figlio morisse e io dicessi: “Non fa niente, tanto ne ho altri quattro!”. No, per Dio ognuno è vitale, e Cristo muore in croce per ciascuno di noi. Gesù ci insegna che nessuno può essere dichiarato “perso” definitivamente. Dio è morto in croce per me e per te, perché sapeva benissimo che in noi c’era qualcosa che gli corrispondeva; siamo fatti a Sua immagine e somiglianza. Pensiamo a quante volte ci rassegniamo, non credendo più in noi stessi, dandoci a vizi, bassezze, peccati gravi, fino ad affermare che “in me non c’è la presenza di Dio, non c’è la bellezza”. Ebbene, la nostra bellezza è nascosta ma c’è, ed ecco l’intervento di Dio nella nostra vita. Ogni persona può essere ritrovata, ogni uomo e donna si può sempre convertire. “C’è molta gioia in cielo per un solo peccatore che si converte”. Dio ci viene a cercare, e lo fa anche attraverso la Parola di questa domenica, attraverso la liturgia, attraverso la Chiesa. Poi c’è la terza parabola, conosciutissima. Che dire del fratello maggiore del figliol prodigo? Gesù, raccontando le prime due parabole, ha dato ai farisei la possibilità di ritornare a Dio; ma Egli, che conosce il cuore di ciascuno di loro, ha parlato anche del fratello maggiore. E chi è? Colui che non vuole “tornare” perché crede di essere già nel giusto. Pur abitando nella casa del padre, non lo conosce. Quante volte il “fratello maggiore” che è in noi prevale nel giudizio che abbiamo sugli altri? Tipico esempio è quando entra in parrocchia una persona che si è convertita all’interno di qualche movimento o di un certo santuario; spesso il malcapitato ha vita breve. Perché, spesso, noi ci comportiamo come il fratello maggiore. Dio ha misericordia anche di lui. Sia che tu ti comporti come il fratello maggiore o come il figliol prodigo, devi sempre farti trovare da Dio. E c’è un modo per farsi trovare più velocemente: cominciamo a… belare. Santa domenica a tutti.