Classe 1959, nato a Collazzone da genitori contadini e quinto di sette fratelli, parrocchiano dalla mia nascita fino alla sua morte di mons. Carlo Pazzaglia, per noi tutti (ieri come oggi) “l’arciprete” sic et simpliciter. Tutti i sacramenti dell’iniziazione cristiana ricevuti da lui e da lui preparati. Ricordo le tante filippiche riguardo al latino, mai da me imparato del tutto, perché proveniente da una scuola superiore professionale. I preti – diceva – “devono conoscere bene il latino, perché devono poter leggere i libri liturgici”… eppure mi affascinava: da lui e dai miei genitori ho imparato a conoscere la fede del battesimo. Mi chiamo Giuliano Pagliaricci, e sono prete dal 1984. Dal punto di vista spirituale ho cercato in questo tempo di concentrarmi sul mistero della Croce, strada maestra per la salvezza, ma anche principale incentivo alla valorizzazione delle nostre debolezze. Non avrei mai retto il peso di un tale compito se non avessi imparato a fare della sofferenza un trampolino di lancio per raggiungere la pace di Cristo e gli obbiettivi racchiusi nell’impegno assunto davanti a Lui con il sacramento dell’Ordine. Il mio peccato – come per tutti, credo – è stata la croce più grande da portare.
D’altra parte, accettandolo e superandolo nella grazia del perdono ricevuto dal Padre e dato a tutti i miei fratelli e padri e madri che, involontariamente certo, mi hanno fatto soffrire, ho affrontato la vita con i suoi numerosi cambiamenti serenamente e gioiosamente. Dal punto di vista intellettuale, e per quella formazione permanente che tutti giustamente ci raccomandano, ho portato a termine gli studi iniziali e più tardi ho frequentato il corso di licenza in Teologia fondamentale sullo spirito di Assisi (Ecumenismo e dialogo interreligioso). Non ho mancato un solo ritiro del presbiterio diocesano; perché per un prete non è solo importante crescere intellettualmente e spiritualmente, ma anche umanamente.Almeno, per me lo è.
La polemica sui presbiteri che “non funzionano” è troppo sterile, come qualsiasi altra polemica, se non si fa qualcosa per portare il proprio contributo. Il presbiterio può isolarti, se vuole, ma spesso siamo noi stessi che ci isoliamo, poiché soluzione più facile e ci fa sentire meno in colpa. Ho cercato di non fare così, anche se con tanti limiti, per i quali chiedo perdono a Dio e ai miei fratelli. Pastoralmente, poi, mi sento come un “arameo errante”, per mia volontà negli ultimi spostamenti, mentre passai da Pian di San Martino a Montecastrilli perché il Vescovo mi chiese di andare in quella comunità a seguito di un difficile e doloroso momento che essa stava vivendo. Nove anni sono sufficienti per impedire che il parroco prenda i vizi dei parrocchiani e i parrocchiani quelli del parroco. Cambiare poi rigenera e suscita nuove forze ed entusiasmo. Attualmente, mi trovo in una piccola zona della periferia di Todi, comprendente 3 parrocchie e 6 piccoli paesi. Benedico Dio per avermi riservato questo dono. Le comunità sono piccole e molto distanti tra loro, ma da quando sono qui ho iniziato a chiamarle (ufficiosamente) “Parrocchia delle 6 campane”.
Perché il mio intento è quello di farle diventare un’unica comunità, anche se mi rendo conto che a breve sarà superato anche questo progetto. Intanto, però, qui sono stato chiamato a lavorare e con questo materiale lavoro. Abbiamo subito costituito un piccolo coro “delle 6 campane”, così come un sito parrocchiale che risponde al link www.6campane.it. Anche a Montecchio-Tenaglie già tanti anni fa avevamo un sito e un giornalino parrocchiale. Le celebrazioni liturgiche sono fatte a rotazione, comprese quelle dei tempi forti e della Settimana santa. Le feste patronali sono organizzate dalle singole comunità o più comunità insieme. Tutto deve tendere a unire, anche se non è facile visto un certo campanilismo che ancora vige nei nostri paesi – compreso quello di noi preti.