“E’ evidente che Daesh [l’Isis] sta perdendo terreno in Iraq e Siria, e raccomanda alle sue truppe in Europa di colpire ciò che detestano di più: la democrazia e la coesistenza pacifica tra persone che pensano in maniera diversa”. Dominque Quinio ha diretto per dieci anni il quotidiano cattolico francese La Croix ed è oggi la presidente delle Settimane sociali di Francia. “Se Daesh – aggiunge – è entrato in una chiesa nel momento in cui era in corso una celebrazione eucaristica, è chiara la volontà di colpire la Chiesa cattolica. C’erano state minacce, ma ora la minaccia è diventata realtà. E questo aggiunge orrore all’orrore”.
Perché colpire un luogo cristiano in un Paese come la Francia fortemente secolarizzato?
“In realtà la Francia si auto-definisce laica, che non è la stessa cosa di scristianizzata. Significa che il potere politico e il potere religioso si tengono a distanza. Certo, non possiamo nascondere il fatto che i cristiani in Francia siano oggi una minoranza e che la pratica religiosa è molto diminuita. Ma ciò che gli affiliati di Daesh vogliono colpire è la libertà di coscienza, la libertà di credere e praticare la propria religione in un Paese che rispetta tutti, credenti e non credenti”.
Seppur minoritario, il cristianesimo continua a fare paura all’Isis?
“Penso di sì. Forse anche la figura del Papa influisce. Avvertono che la sua parola e i suoi atti contano per il mondo, non solo per i cattolici. Ed è questo che fa paura. Fa paura anche l’idea di una religione che lascia spazio alla intelligenza della fede, alla discussione. Il paradosso è che padre Hamel, il sacerdote che è stato sgozzato a Rouen, era impegnato nel dialogo interreligioso con gli imam della banlieue di Rouen. Ed è proprio questo che la gente di Daesh detesta, l’idea che l’islam non riesca a imporre la sharia al suo popolo”.
Molti tornano a parlare di guerra di religione…
“Dal punto di vista di Daesh, sicuramente è così. Spero però che la risposta, qui in Europa soprattutto, non vada in questa direzione. D’altronde le reazioni dei Vescovi francesi hanno cercato di impedire in tutti i modi che ricada sulle comunità musulmane la colpa di quanto avvenuto, e da parte delle comunità musulmane c’è stata una denuncia molto chiara”.
Ma per Daesh è guerra di religione.
“Sì, ma soprattutto una guerra contro la democrazia, contro gli Stati che non sono teocratici, in cui la religione non impone le sue leggi, e l’ordine religioso e politico sono ben distinti tra loro. È questa la guerra che conducono. Penso che il rischio oggi sia interpretare nei nostri Paesi questa violenza come una guerra di religione, e che venga colpevolizzato in modo generalizzato l’islam. Allo stesso tempo, proprio perché esiste questo rischio, occorre che i musulmani agiscano nella formazione dei loro giovani. Spetta a loro il compito di richiamare i loro seguaci al valore di vivere la propria fede in una democrazia, dove c’è libertà di religione e coscienza; dove, se un musulmano si converte al cristianesimo, non è un problema”.
Qual è il rischio?
“Il rischio è spingere le comunità religiose le une contro le altre. Nessuno oggi deve approfittare della situazione. Sicuramente qualcuno lo farà e lo sta già facendo. Sui social ci sono estremisti di destra che stanno chiedendo di far allontanare i musulmani dalla Francia se si vuole evitare il genocidio dei cristiani in Europa. Non è così che si risponde alla logica del terrore. Siamo anche in un periodo delicato per la vita in Francia, alla vigilia delle elezioni presidenziali, in cui fanno presa i discorsi spesso molto violenti contro l’immigrazione, contro l’islam. È un rischio: che la paura ci conquisti e che la coesione sociale si indebolisca. Si è molto indebolita nel corso di questo ultimo anno. Nei primi attentati di Parigi, quello di Charlie Hebdo e poi al Bataclan, ci fu una reazione di unità nazionale e di coesione, ma dopo Nizza questa coesione non c’è stata”.
Da dove ripartire?
“Le diverse forze religiose hanno reagito insieme e coese. La questione aperta è la rappresentanza dell’islam. I cattolici hanno una Conferenza episcopale, i protestanti una Federazione, gli ebrei un Gran rabbinato. Per i musulmani ci sono Confederazioni e Consigli ma la loro parola non è accettata da tutti i musulmani a causa di influenze che possono essere di volta in volta marocchine, algerine, arabe…. Quindi, anche se i dirigenti prendono una posizione ferma, non è detto che la loro parola sia ascoltata dalla base. C’è tutto un lavoro ancora da fare nelle moschee, tra gli imam. Ma è essenziale, ora, per non fare aumentare la paura e l’odio”.