Il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci occupa molto spazio nella tradizione evangelica, tanto da essere presente un’altra volta anche nel vangelo secondo Matteo (in Mt 15,32-39) oltre a quella del lezionario odierno. Da questo sono espunti però quei passi relativi alla morte del Battista e che sono all’inizio del nostro capitolo 14: invece è proprio da qui che prende avvio la nostra pericope. Gesù, secondo le parole di Matteo, si ritira in un luogo appartato dopo aver sentito che Giovanni è stato arrestato e ucciso. Questa è una interessante particolarità matteana: se il Primo Vangelo infatti ha appreso da Marco il racconto della moltiplicazione, nel racconto di quest’ultimo il fatto che Gesù venga a sapere della morte del Battista non sembra così importante per il nostro miracolo. Mc 6,30-31, infatti, racconta che i discepoli sono appena tornati dal loro viaggio missionario, e per questa ragione Gesù li invita in un luogo solitario, a riposarsi con lui; li segue poi la folla, e tutto continua nel modo che leggiamo anche oggi.
Nel testo di Matteo, invece, è più chiaro che dopo aver “udito ciò” (Mt 15,13), ovvero della morte di Giovanni, Gesù si apparta. La ragione non sta nel fatto, come alcuni hanno ipotizzato, che Gesù stia scappando da Erode Antipa, che come ha ucciso Giovanni per un capriccio di Erodiade potrebbe mettere a morte anche Gesù con qualsiasi pretesto: piuttosto, Gesù sta cercando un luogo per pregare, rendendosi conto che la sua vita è a rischio e la sua morte è imminente (Hagner). Infatti, “Giovanni annuncia, tramite le sue sofferenze e la sua morte, gli ultimi giorni di Gesù, e i termini che descrivono la sua passione (14,3.12) saranno ripresi per narrare quella di Gesù” (Radermakers). Anche quello a cui probabilmente Gesù si dedica nel luogo deserto, la preghiera, è caratteristico, in Matteo, solo del racconto della passione: mentre il Gesù di Luca è presentato più volte nell’atto di pregare, il Gesù di Matteo prega esclusivamente nel Getsemani (cfr. Mt 26,36.39.42), e forse, come detto, in questa occasione.
Sta di fatto che la folla lo segue lo stesso, lo trova, e anche in Matteo, come già per Marco, è questa la ragione prossima del miracolo sul pane. Però prima avviene qualcosa. Nonostante il dispiacere per la morte del suo precursore, nonostante la paura che Gesù può aver provato immaginando la propria morte imminente, nonostante fosse andato a rifugiarsi in un luogo per pregare e stare solo con il Padre, Gesù non si occupa di sé ma di chi ha bisogno: “sentì compassione per loro e guarì i loro malati” (Mt 14,15). Ed ecco poi che a sera (dettaglio che non troviamo in Marco) – come del resto sarà di sera l’ultima cena di Gesù – inizia la scena della moltiplicazione. Si parte da un’obiezione dei discepoli. Lecita, più che lecita, perché realistica e incontrovertibile: non c’è nulla d’altro che si possa fare per la folla, più di quanto Gesù non abbia già operato: ha guarito i malati, non si può anche dar loro da mangiare. Spesse volte anche noi ragioniamo allo stesso modo.
La nostra fede in Dio è difficilmente incondizionata, anche in questo ambito poniamo dei limiti, anzi, dei limiti proprio ci devono essere. Ma il limite per Gesù non è ancora stato oltrepassato. “Ha predicato l’evangelo, ha operato guarigioni. Che cosa non ha ancora fatto? Non ha ancora imbandito alla folla il banchetto messianico” (Mello). Gesù, come il Re-Messia, ha il compito di assicurare il pane al suo popolo, e deve quindi egli stesso provvedere a loro. Anzi, con l’aiuto dei discepoli. Questi non ci credono, e addirittura con una frase che in greco è segnata da una doppia negazione (“Non abbiamo che cinque pani e due pesci!”, meglio: “non abbiamo nulla se non”; cfr. Zerwick), insistono sul limite che non può umanamente essere oltrepassato. Ma proprio su questo limite Gesù fa leva: “Portatemeli qua” (Mt 14,18). Quello che per noi poveri è il nostro impossibile diventa il possibile di Dio, quando noi siamo deboli, per Dio siamo forti (cfr. 2 Cor 12,10), quando non ci crediamo più, basta la nostra poca fede. Non senza aver benedetto Dio (e non il pane, perché nella benedizione ebraica si dice la benedizione “su” chi ha donato il pane), Gesù moltiplica quel poco che gli uomini gli hanno dato.
È la profezia e l’anticipazione del banchetto eucaristico dell’ultima cena: anche lì Gesù avrà davanti a sé i poveri d’Israele, questa volta da liberare non dalle malattie ma dai loro peccati (cfr. Mt 26,28); anche lì avrà davanti a sé un poco di pane. Ma in quell’ultima cena non dovrà moltiplicarlo per i presenti soltanto, perché ad averne bisogno, ancora oggi, ci siamo anche noi. Quello che possiamo fare, è portare anche noi quello che abbiamo, e dire con le parole di quella giovane chiamata presto al Cielo, “Prendi, Signore, il poco che ti offro, il nulla che sono; e dammi il tanto che spero, il Tutto che sei” (Cilla).