Gli immigrati e i rifugiati “non sono un peso, ma un dono”. Questa frase di Papa Francesco resterà fra quelle, tante, celebri del suo pontificato. Ed è anche molto significativa. Ma non può essere presa sottogamba. Per risolvere i problemi dell’accoglienza dei migranti – dopo gli sviluppi degli ultimi anni, che hanno visto crescere a dismisura il loro numero – non bastano il buon cuore e le buone intenzioni, anche se queste ultime sono un presupposto necessario. Non basta, infatti, garantire agli immigrati un’ospitalità, per quanto generosa, di breve periodo: essi chiedono un inserimento di lungo periodo, come membri a pieno titolo della società in cui si trovano a vivere. Vogliono i servizi sanitari e quelli sociali al pari dei cittadini, vogliono la scuola per i figli, vogliono un lavoro per realizzare la propria personalità e per guadagnare quanto occorre per pagarsi una vera casa (non un alloggio caritatevole) e tutto il resto. Non sono pretese temerarie. Sono scritte nelle nostre leggi, nella nostra Costituzione, nelle regole dell’Unione europea, nelle carte dell’Onu; e dunque bisogna onorarle, per rispetto prima di tutto di noi stessi e delle nostre leggi. Ma qui viene il difficile. Perché tutti quei princìpi – sacrosanti – sono stati scritti quando si verificavano due condizioni: la prima, che il nostro sistema economico godeva di un periodo di forte crescita, che sembrava eterno (e non lo era); la seconda, che il numero dei migranti appariva contenuto e dunque gestibile. Adesso sono venute meno entrambe le condizioni. Soprattutto, è inquietante il problema del numero, perché una vera integrazione sociale e culturale dei migranti si può avere solo se il loro numero è relativamente basso. Se sono tanto numerosi da poter fare sempre gruppo solo fra di loro, non avranno occasione di assimilare la cultura dei vecchi residenti. Senza parlare dei posti di lavoro che scarseggiano e delle risorse che sono limitate. Sono, questi, buoni motivi per chiudere le porte? Certamente no. Ma sono sfide alla nostra capacità di trovare le risposte, non con la generalità dei singoli, ma con gli strumenti della grande politica. Sfide storiche e terribili, ai cui confronti l’abolizione del Senato è uno scherzo.
La grande sfida delle migrazioni
AUTORE:
Pier Giorgio Lignani