Il vescovo di Terni-Narni-Amelia, mons. Giuseppe Piemontese, in occasione della festa di san Valentino (13-14 febbraio) è stato fatto oggetto di indebite pressioni nel suo legittimo esercizio di Pastore della Chiesa locale e di moderatore della vita liturgica della comunità cristiana affidata alle sue cure. È opportuno riflettere sull’accaduto al fine di tutelare la comunione ecclesiale.
Un principio ormai consolidato in Dottrina e in Giurisprudenza è quello per il quale nell’Ordinamento statuale l’esercizio del culto e le attività di religione – costituzionalmente garantiti – sono espressione della libera iniziativa dell’Autorità Ecclesiastica competente. Il Vescovo, in comunione con il Romano Pontefice e inserito pienamente nella successione apostolica, gode, all’interno della propria Diocesi, di “tutta la potestà ordinaria, propria e immediata, che è richiesta per l’esercizio del suo ufficio pastorale” (canone 381).
Comprendiamo, senza tema di smentita, l’ampio munus riservato al Vescovo diocesano per la sua Chiesa particolare in materia di vita ed azione liturgica, cioè le espressioni del culto consacrato in un rito e/o in una celebrazione (Sacramenti e sacramentali), nonché la preghiera o altre forme di devozioni personali o collettive. La tutela normativa del diritto di libertà religiosa nelle forme dell’espressione liturgica viene sommamente garantita, per i singoli e per gli Enti ecclesiali, dalle diverse fonti normative dello Stato (art. 19 e 20 della Costituzione; art. 7 del Nuovo Concordato del 1984; art. 831 del Codice civile, ecc.), e implementata per i battezzati, soggetti all’Ordinamento canonico, con la precipua prescrizione della potestà di governo – in detta materia – in capo all’Ordinario diocesano.
L’esercizio della funzione santificante, primaria e propria del Vescovo diocesano, condiziona la vita spirituale dei fedeli tanto da rafforzare la necessaria comunione di tutti i membri del popolo di Dio con il loro Pastore, capo della comunità orante. Di conseguenza il Vescovo all’interno della propria Diocesi ha piena potestà per diritto e atavica consuetudine, di disciplinare e dunque prevedere, regolare, promuovere, autorizzare, custodire e vietare ogni azione liturgica o espressione di fede da essa derivata o collegata. Il tutto finalizzato a sostenere una sempre maggiore partecipazione dei fedeli alla liturgia, attraverso la quale, la sensibilità del discernimento episcopale permette l’avanzamento nella vita spirituale del singolo, sia nel culto pubblico che in quello privato, nell’orizzonte della confessione della stessa fede.
Il Vescovo può, dunque, nell’esercizio delle sue funzioni, dettare delle regole per meglio disciplinare la vita liturgica della Diocesi affidatagli; nel proprio territorio è libero di presiedere qualsivoglia celebrazione, autorizzare o vietare azioni liturgiche, nonché esercizi di pietà, consacrare edifici di culto o ridurli allo stato profano. La cornice e l’ambito nei quali si concretizza l’esercizio di detto diritto è il principio valido per ogni forma di aggregazione umana, e sancito a più riprese nei documenti della Chiesa, che ciascuno ricopra il proprio posto, nel rispetto delle diverse competenze al fine di tutelare il dono della comunione ecclesiale, forma concreta della partecipazione dell’uomo al Corpo mistico di Cristo.