La battaglia referendaria è finita come tutti sappiamo. In una domenica in cui il barometro ha tenuto tutti lontani dal mare, appena un italiano su quattro è andato a votare. È stata una nostra vittoria? ‘Ho fatto solo il mio dovere di pastore e di cittadino’, ha dichiarato il card Ruini. Se tale è stata, si è trattato di una vittoria amara. ‘Bella, immortal, benefica // fede ai trionfi avvezza, // scrivi ancor questo, allégrati, //ché più superba altezza // al disonor del Golgotha // giammai non si piegò’. Vorrei che questi versi non li avesse scritti lui, il mio amatissimo Manzoni. A parte che la ‘superba altezza’ era (niente meno!!) quella di Napoleone, un tracagnotto che faceva l’uomo politico a tempo determinato e il macellaio a tempo pieno, a parte questo, la vittoria non si addice a noi Cristiani, tanto meno il trionfo, a noi seguaci di Colui che ci salvò perdendo. Anche io, da qualche tempo, cioè da quando l’ho visto fare a Fonte Avellana, in quella cripta del X secolo dalla pietra dura e calda come nessun’altra, anche io, al momento di mostrare ai fedeli le Sacre Specie subito prima della comunione, dico: ‘Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che porta su di sé e perdona il peccato del mondo’. Porta su di sé. Perdona. Se questo è vincere. Solo sul piano della democrazia è stata una grande vittoria: e infatti il luccichio degli occhi del card. Ruini, mentre pronunciava le parole che ho qui sopra riferito, la dicevano lunga, lunghissima. Ma le logiche della democrazia moderna, per quanto da noi cristiani meritino in sede di convivenza civile la massima adesione e un assenso privo di ogni riserva mentale, non sono le logiche della Chiesa, che non è una democrazia, ma qualcosa di diverso e di molto più intenso: è una comunità. Sempre in fieri, semper reformanda, ma è una comunità, non una democrazia. In una comunità le maggioranze non hanno senso. Ha senso solo l’unanimità. L’unanimità: ‘In necessariis unitas’, diceva Agostino, continuando poi: ‘In dubiis libertas, in omnibus charitas’. La democrazia è basata sull’alternanza vittoria/sconfitta. In una comunità vincere non ha senso, ha senso solo convincere. E prima ancora convincersi. E prima ancora convertirsi. E prima ancora lasciarsi convertire. Noi vorremmo un mondo in cui la parola ‘vincitore’ e la parola ‘vinto’ venissero cancellate dal vocabolario. Quando il padre Cristoforo del mio amatissimo Manzoni formulò un’ipotesi di questo tipo davanti a don Rodrigo, lo mandò fuori dai gangheri. Se, vincendo il referendum siamo solo riusciti a mandare fuori dai gangheri qualcuno, gratulamini ad invicem, certo!, ma non mi sembra proprio che basti per ‘cantare vittoria’.
Una vittoria amara?
AUTORE:
Angelo M. Fanucci