‘E su!! Facciamo credito alla nostra Chiesa!!’. È stato questo l’appello che il vescovo Mario, in vista del voto (o, meglio, del non/voto) del 12 giugno, ha rivolto a noi preti di Gubbio nell’ultimo ritiro mensile. ‘Facciamo credito alla nostra Chiesa!!’. E ha richiamato quanto accadde il 18 aprile 1948, quando fu la lotta all’ultimo sangue innescata dalla Chiesa di Pio XII, dai Comitati civici di Gedda, dalle vecchiette dalla messa quotidiana che risparmiò all’Italia l’aggancio al trenino delle Repubbliche popolari, quelle strutture statali idealmente impeccabili ma che, stringi stringi, a forza di inneggiare al socialismo hanno socializzato solo la miseria. Avesse taciuto, la Chiesa di allora, oggi le nostre sorelle e le nostre figlie lavorerebbero come prima di loro avrebbero lavorato le loro madri: a fare le badanti in Inghilterra o in Francia, a ripetere 200 volte al giorno, uì madam, oppure (a scelta) occhèi mai ledi. Certo, per dirla con don Milani, facendo credito alla nostra Chiesa accanto ai loro torti abbiamo sconfitto anche le loro ragioni, ma non c’era altro da fare. ‘Facciamo credito alla nostra Chiesa!!’. Nel variegato panorama socioculturale del Bel Paese noi preti, complessivamente, siamo la categoria più qualificata. Incomparabilmente. Tra di noi i farabutti sono una rarità assoluta. I talebani sono una piccola minoranza, più folklore che altro. La mediocrità morale dei preti come me, gente che al Tour de France verremmo quotidianamente relegati nel ‘peloton’, è pur sempre un palmo più alto della mediocrità morale di medici, casalinghe, veterinari, operai, tranvieri, imprenditori, professoresse, netturbini. I migliori tra noi sono diventati vescovi, in grazia dell’amabile provvidenza di Dio e dell’occhiuta vigilanza vaticana. Il setaccio funziona quasi sempre bene, seppure con la consueta prevalenza della prudenza del serpente sul candido coraggio della colomba. Questa è la Chiesa italiana oggi. Sono uomini di grande levatura quelli che ci propongono oggi di non andare a votare. Meglio di chiunque altro ne ha illustrato i motivi il ‘nostro’ don Ennio card. Antonelli su Avvenire. Un capolavoro di chiarezza tra tanti editoriali del nostro quotidiano, scritti così male da indurre il sospetto che i loro autori abbiano le idee confuse. La grande stampa laica invece ha quasi sempre perso la sinderesi. ‘I diktat della Cei’, guarda un po’!! Qualsiasi esito sortisca il referendum sono lontani, lontanissimi i tempi in cui Papa Giulio II all’assedio della Mirandola, a quanto dice il Vasari, ‘sacramentava come un Turco’; i tempi in cui il Sinodo diocesano di Gubbio proibiva ai preti pifferi di farsi servire la messa dai propri figlioletti, frutto di occasionale collaborazione con una contadinotta bigotta e pienotta.
Facciamole credito!
AUTORE:
Don Angelo Fanucci