Ho assistito alla scena da una specie di spioncino, una delle piccole fessure che il tempo ha aperto nella parete di fondo della stanza, in legno. Quello che con l’unico occhio buono guarda dalla fessura vicino alla mia è Alessameno, il mio amico del cuore. Ah! Scusino, mi presento: sono Alessandro, garzone di fornaio; vivo a Mileto, quest’anno (per voi sarà il 57 d.C.) compio 32 anni. Nella stanza c’è Paolo che dà l’addio ai suoi. Sono venuti anche da Efeso. Da qualche anno qui a Mileto un gruppo di persone, detti ‘Cristiani’, parlano di un certo Cristo come di un Dio; gliel’ha fatto conoscere lui, Paolo; dicono che sia stato crocifisso, ma è vivo, perché (udite, udite!!) risuscitato il terzo giorno, all’alba. Caspititina! E perché non il quarto, al tramonto? O dopo due mesi, di notte? Balle. Certo è che Alessameno è cambiato. Prima non ci pensava due volte quando, tra una chiacchiera e l’altra, veniva fuori la proposta di andare a donne; adesso fa lo schifiltoso; qui vicino c’è un laboratorio di cardatura della lana, con tante schiave giovani e belle, che il padrone lascia libere di fare l’amore con chiunque: basta che non alzino mai la testa quando lavorano e che, se nascono dei figli, li consegnino a lui. ‘E dài, vieni’. ‘No, che non è giusto’. ‘E perché?’ ‘Perché sono figlie di Dio anche loro’. Oddio quant’è prolifico quel Dio di Cristo!! Tutti figli suoi!!. E poi Alessameno dice che solo dopo il matrimonio’: robe da pazzi. Non c’è più religione. Trattano gli schiavi come fratelli. Non c’è più religione. E non basta: perdonano, sempre e a chiunque. Alessameno l’altra sera, nel tentativo di sedare una rissa, ha rimediato il sontuoso occhio nero che si ritrova; ma non ha reagito. Anche per questo adesso sono qui, dietro la parete di legno, a osservare, non visto, la grande sala strapiena. Paolo è piccolo, moro, stempiato. Occhi vivissimi, attraversati a volte da una vena di tristezza leggera. La faccia arata da fatiche indicibili, segnata dalle tante percosse alla quali accenna nel suo discorso, e altre se ne attende nel viaggio che sta per iniziare; dice, e sembra che parli di un altro. Di tutto quello che ha detto Paolo io non ho capito nulla di nulla Ma quando ha accennato al fatto che i suoi non lo vedranno più, la sala è stata invasa come da un muggito triste di giovani vitelli. Piangevano tutti. Chi poteva l’abbracciava. Paolo ad occhi chiusi farfugliava qualcosa. È a questo punto che ho colto una frase: ‘C’è più gioia nel dare che nel ricevere’. Come? ‘C’è più gioia nel dare che nel ricevere’. Un brivido adesso lo provo anch’io. L’ha detto Gesù: ‘C’è più gioia nel dare che nel ricevere’. Volto la testa verso Alessameno, che ha appoggiato la schiena alla parete di legno, la testa arrovesciata all’indietro. Due lacrime lucide gli spuntano dagli occhi. Su quello tumefatto la lacrima sembra un diamante.
Dallo spioncino
AUTORE:
Angelo M. Fanucci