L’Africa sta vivendo un momento magico: cresce la fede, con milioni di battesimi ogni anno; le strade si moltiplicano, l’elettricità è portata anche in zone remote, l’acqua diventa più disponibile. Però non è tutto oro quello che luccica. I benefici sono ancora limitati al 30% della popolazione, l’altro 70% ha ancora a che fare con pane insufficiente, acqua non potabile, ospedali senza medicine e letti… Francesco, pur apprezzando il progresso raggiunto, si è decisamene schierato dalla parte dei poveri, che sono la maggioranza, con chiari richiami e indicazioni per i Governi, la politica, il mondo finanziario e le Chiese. Francesco ha cercato di convincerci che possiamo sognare un grande futuro se lavoreremo più assieme, se debelleremo i demoni del tribalismo e del fondamentalismo religioso che oppongono un gruppo umano a un altro, sempre fonte di violenza distruttrice. Francesco ci ha aiutato a debellare il pessimismo che spinge tanti africani a fuggire dal Continente, credendo che il paradiso si trovi altrove, magari in Europa! Ha cercato di convincerci che è possibile costruire una vita più dignitosa anche in Africa.
Il fascino della sua persona: umiltà, gioia, sincerità, speranza.
Perché Papa Francesco è così popolare in Africa? Quale dei suoi tratti personali colpisce di più? Qui siamo abituati a vedere il Presidente della Repubblica, ministri, cardinali e vescovi lontani dalla gente; sembra che, più si cresce nella carriera, più ci si debba distanziare dal popolo con grandi macchine, elicotteri, aerei personali, case lussuose… Francesco colpisce per la sua semplicità: di vestire, di presentarsi, di parlare, di portare la sua borsa, di andare dall’ottico a comprare gli occhiali. Assieme alla semplicità colpisce la sua l’umiltà di ammettere i limiti, saper chiedere scusa. Allo stadio Kasarani di Nairobi, di fronte a migliaia di giovani, ha bollato con parole di fuoco la corruzione che sottrae infinite risorse finanziarie allo sviluppo del Kenya; ma ha pure aggiunto: “Non è soltanto una sfida per voi in Kenya, ma anche per me in Vaticano”. Poi la sua insistenza sulla compassione e misericordia di Dio, che costituiscono il tema dell’Anno santo che Francesco ha aperto a Bangui, la capitale del Centrafrica, domenica 29 novembre. In Francesco vediamo il volto di Dio Padre che accoglie il figlio, che può aver sbagliato, ma senza umiliarlo per l’errore. Nell’Africa tradizionale la grandezza della persona è nella sua magnanimità, nella sua capacità di accogliere e fare posto a tutti attorno alla stessa tavola per godere assieme dello stesso cibo. I giornali, le televisioni, le radio lo hanno salutato milioni volte come il Papa della speranza, Papa del popolo, soprattutto dei più poveri. Tutti sono venuti alle celebrazioni da lui presiedute: cristiani, musulmani, indù. Tutti affermano: questo Papa è anche nostro perché rappresenta Dio nel quale anche noi crediamo! Lui prega per tutti, non solo per i cattolici! Infine, il coraggio. Obama qui a Nairobi si è mosso su un’auto super-blindata a prova di missile. Francesco ha detto di temere soltanto le zanzare. Un’ottima combinazione di grande sintonia con il popolo e di immensa fiducia in Dio!
La fede e l’impegno sociale per gli altri: la Chiesa, attore religioso e sociale
Il Papa cerca di ripulire la Chiesa da una religione unilateralmente incentrata sui riti liturgici e preghiere intimiste che poi non aprono il cuore al perdono, alla solidarietà, alla collaborazione, all’accoglienza. Francesco ama ripetere: la preghiera che non conduce a un impegno pratico per gli altri, per il tuo fratello più povero, malato, che ha bisogno di aiuto; che non apre il cuore alla sorella, al fratello in difficoltà, è una preghiera sterile e incompleta. Sant’Ubaldo da Gubbio aveva come ispirazione il motto: “Nessuna Chiesa senza un ospizio per i poveri’. La Chiesa di mattoni è il posto in cui Gesù sacramentato viene custodito, dove la comunità si riunisce per pregarlo, per ascoltarlo, per adorarlo, per ringraziarlo. Ma Gesù non è soltanto nell’ostia, o oso dire: non è principalmente nell’ostia, ma nel fratello e nella sorella che a ogni passo incontriamo, soprattutto il povero e l’estraneo. Nella messa più partecipata, all’Università di Nairobi il 26 novembre, Francesco ha indossato una mitria di pelle di capra. Cerca di snellire la Chiesa liberandola da aspetti di pomposità barocca di altri tempi: liturgie con abiti dorati, calici preziosi, porpora, stonano con l’identità di Gesù di Nazareth che la liturgia celebra. Alcuni Padri della Chiesa insistevano nel vendere i paramenti per investirne il ricavato per i poveri. Qui in Africa tutti hanno l’esperienza che la Chiesa è un attore sociale di prima grandezza: tutte le parrocchie hanno la scuola, il dispensario, la Caritas per i poveri. Questa è la Chiesa che Francesco è venuto a consolidare in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana.
Collaborazione tra le varie religioni: mai violenza in nome di Dio
L’ultima tappa del viaggio è stato il Centrafrica, una nazione di 5 milioni di abitanti a stragrande maggioranza cristiana, ora devastata dalla violenza e terrore di gruppi islamici finanziati e armati dal Medio Oriente. Se c’è una nazione che ha infinito bisogno di riconciliazione e giustizia in questo momento, è proprio lì. L’idea di aprire lì l’Anno santo, che è anno di riconciliazione come frutto di compassione e misericordia, esprime più di mille parole dove batta il cuore di Francesco. Non è stato lui ad invitare in Vaticano il leader palestinese Abu Mazen, il presidente israeliano Shimon Peres e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo per pregare per la riconciliazione tra israeliani e palestinesi? Senza un dignitoso mutuo riconoscimento di due nazioni indipendenti fra i due popoli, ogni sogno di pace in Medio Oriente è puro fumo. In uno degli incontri più toccanti con tutti i leader delle varie religioni presenti in Kenya, la mattina del 26 novembre, ha ripetuto con forte emozionalità: “Mai più violenza in nome di Dio!”. Pure ai giovani ha ripetuto di non lasciarsi abbacinare dai fautori di violenza e dagli esecutori di condanne a morte. Non si può dimenticare che il primo grande attentato terroristico di matrice islamica avvenne a Nairobi l’8 agosto 1998, con 252 vittime. Non c’è dubbio che Francesco ci ha lasciato un capitale di speranza, di motivazioni e di ispirazione, oltre che di preghiera, che non potranno non portare frutto – se noi ci impegneremo con coerenza e tenacia!
25-30/11/2015
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