“Credenti e non credenti sono concordi nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo come suo centro e suo vertice” (Gaudium et spes, 12). È con questa profonda convinzione che lo scorso 29 e 30 agosto è stato dato il via ai lavori nell’ambito del Corso di formazione organizzato dal Csi, e in particolare dal Comitato regionale umbro, in collaborazione con i Comitati regionali di Abruzzo, Marche e Lazio.
Per questi due giorni, Roccaporena, paese natale di santa Rita e luogo di forte devozione e preghiera, ha ospitato più di cento persone provenienti da quattro regioni, impegnate in due diversi corsi di formazione, quello per animatori sportivi e quello per dirigenti di comitato.
I lavori sono cominciati nella mattinata di sabato, ma lavorare non basta: prima ancora è necessario sapere per quale scopo si lavora e conoscere il progetto globale di ciò che si sta facendo.
Di questo ne sono pienamente consapevoli i dirigenti dei vari Comitati organizzativi, che hanno fatto sì che l’inizio dei lavori fosse scandito da una profonda riflessione sull’uomo e sulla sua identità.
Fin dal momento della sua fondazione, il Centro sportivo italiano si è dato come obiettivo quello di educare i giovani attraverso lo sport, ma non è possibile educare una persona attraverso lo sport se non si sa chi è la persona nella sua profonda identità. Ecco quindi che l’obiettivo ultimo di qualsiasi azione educativa deve essere l’uomo nella sua piena maturazione personale.
In questo processo educativo, il Csi ha identificato nello sport lo strumento privilegiato di trasmissione di valori, norme e stili di vita che forniscono alla persona, e in particolare ai bambini e ai ragazzi, gli strumenti necessari per una piena maturazione personale e sociale. Tutto questo deve essere svolto nell’ambito di un contesto sportivo che metta in primo piano la persona e la sua dignità.
In gran parte dell’attuale cultura sportiva assistiamo a una netta contrapposizione tra i risultati, le classifiche, le ambizioni ecc., e la dignità di chi gioca. C’è un tipo di cultura che privilegia i guadagni e le ambizioni, ed è quello stesso tipo di cultura che incontriamo in gran parte delle attività sportive frequentate giornalmente da milioni di giovani. Non sono realtà negative, ma troppo spesso si dimenticano dell’uomo e della sua dignità, per cui ciò che conta è solo il risultato e avere la condizione fisica e mentale adatta per poter vincere. Tutto questo porta a una svalutazione dell’uomo, perché si tende a concentrare l’attenzione solo su determinati aspetti, senza guardare la totalità della persona.
Se si valuta solo il risultato, l’uomo diventa una macchina da produzione; se si valuta solo il fisico, l’uomo è solo il corpo che ha; se lo si pone al servizio dei risultati, l’uomo diventa uno strumento. Il rischio principale delle associazioni sportive è dunque quello di svalutare la persona e identificarla con quelle che sono solo caratteristiche propedeutiche allo sport che pratica. Ma lo sport praticato in oratorio ha una finalità ben precisa: quella di aiutare i ragazzi a conoscere se stessi e la loro altissima vocazione di uomini e donne.
Per questo, durante il corso per animatori sportivi, i tecnici incaricati hanno proposto ai ragazzi attività di duplice prospettiva: giochi inerenti alla conoscenza di se stessi, del proprio corpo e delle proprie capacità sia fisiche che cognitive, e giochi di gruppo, nei quali veniva stimolata la capacità di accogliere l’altro nelle differenze che caratterizzano ciascun gruppo di persone e quella di dare un contributo nella squadra. Questa seconda tipologia di giochi è stata seguita da una riflessione che ha messo particolarmente in evidenza l’importanza di proporre, ai bambini e ai ragazzi con i quali lavoriamo, delle attività di squadra che siano volte a sottolineare l’importanza di ciascun membro del team nella propria specificità, per far sì che le differenze vengano esaltate, e viste non come fattori discriminanti ma come ricchezze.
Durante il corso per dirigenti di comitato è stata altresì esaltata la figura del dirigente, visto come colui che guida il gruppo verso un fine più alto che la semplice riuscita della manifestazione sportiva. Dato che il Csi è un’associazione profondamente animata dall’ispirazione cristiana, i dirigenti devono essere guide stabili e mature che, come buoni padri di famiglia, sanno guidare le diverse iniziative e attività verso la meta, sicuri della presenza di Dio nella propria vita.
Le due giornate di corso sono state favorite da un clima di incontro e di dialogo che hanno trovato il loro culmine nella celebrazione della messa, seguita dall’oramai storica Festa delle regioni, nella quale è stato ancora di più valorizzato lo scambio reciproco tra i partecipanti, provenienti da quattro regioni della Penisola. Anche la scelta della località è stata significativa e ci ha permesso di affidare a santa Rita noi stessi e tutti i bambini e i giovani con i quali ci confrontiamo quotidianamente nelle nostre realtà parrocchiali e sportive.