Appena si apre il racconto del vangelo che inaugura questa Quaresima, apprendiamo che Gesù “fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo”(Mt 4,1). Matteo è l’unico evangelista a segnalarci con un verbo all’infinito (peirasthenai = per essere tentato) uno scopo che viene raggiunto con l’andare di Gesù nel deserto: Gesù è lì apposta, non è un caso. Non è un incidente di percorso la tentazione di Gesù: sta anzi all’inizio del suo ministero, o meglio, è la conseguenza logica del battesimo che egli ha ricevuto al Giordano. Uomo come noi, Gesù fu “provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato”, dice la lettera agli Ebrei (Eb 4,15).
Uomo della sua gente, il popolo dell’alleanza, Gesù subisce la prova a cui già Abramo, Giobbe, e il popolo di Israele sono stati sottoposti. Per essere precisi, nella teologia di Matteo il Figlio dell’Uomo è già stato tentato, e proprio dal Battista: in Mt 3,14 leggiamo che Giovanni voleva impedire a Gesù di essere battezzato, e a questa provocazione egli deve rispondere (quasi come dopo risponderà al tentatore) ribadendo che deve essere adempiuta “ogni giustizia”, concetto, quest’ultimo, molto caro a Matteo. Il senso di tale dettaglio è che Gesù durante il battesimo è proclamato Figlio di Dio, ma questo non basterà a definire il futuro ministero del Messia; rimane infatti sospesa una domanda: in quale modo Gesù eserciterà il suo essere Figlio? Col potere o col servizio? Sul suo rapporto col Padre, e sul modo in cui servirà il suo popolo, Gesù viene messo alla prova. La scena delle tentazioni ha alcune importanti caratteristiche formali, alcune solo matteane, altre condivise con Marco e Luca. Ad es., il numero delle tentazioni, tre, si ritroverà non solo qui, ma anche nelle tre volte in cui Gesù torna ai suoi discepoli durante la preghiera nel Getsemani (Mt 26,36-46), o nel triplice rinnegamento di Pietro.
Il racconto viene costruito da Matteo secondo una precisa progressione spaziale, ovvero da un luogo basso si passa a un luogo alto: la prima tentazione avviene nel deserto; la secondo sul pinnacolo del tempio; l’ultima su una montagna altissima. Come sappiamo, l’ordine delle tentazioni non è invece lo stesso per Luca, che racconta di come Gesù vada subito, dal deserto, a Gerusalemme. La cosa più importante però, la chiave della narrazione, è che nelle risposte al diavolo, tutte e tre le volte Gesù cita il libro del Deuteronomio (8,3; 6,16; 6,13). Gesù, come il popolo di Israele che è uscito dall’Egitto (“dall’Egitto ho chiamato mio figlio”: Mt 2,15), ha appena attraversato il Mar Rosso (il battesimo), e ora non può omettere l’esperienza solitaria e dolorosa della prova.
I capitoli 6-8 del Deuteronomio, infatti, sono proprio quelli con i quali si dice di Israele nel deserto. Gesù risponde con le parole di Dt 8,3 alla tentazione della fame. In Dt 8,2-3 è scritto: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che neppure i tuoi padri avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore”. Sono qui presenti alcuni elementi della storia matteana della prova di Gesù: il numero 40, il deserto, la fame, la tentazione. Gesù risponde con Dt 6,16 alla tentazione di un facile messianismo, senza croce e dolore; il versetto completo recita: “Non tenterete il Signore vostro Dio come lo tentaste a Massa”, luogo, cioè, dove Israele rimpiange di essere uscito dall’Egitto per dover soffrire la sete, ma dove soprattutto si domanda: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?” (Es 17,7).
Infine, Gesù risponde con Dt 6,13 alla tentazione dell’idolatria: “Temerai il Signore Dio tuo, lo servirai, e giurerai per il suo nome”. Gesù ri-vive nella sua esperienza quello che il suo popolo ha passato. Se allora nel Vangelo di Marco Gesù è raffigurato più chiaramente come il nuovo Adamo che supera la prova (vedi ad es. la presenza delle fiere in Mc 1,13), in quello di Matteo è invece il ricapitolatore della storia della salvezza compiuta da Dio con Israele. Dove il popolo ha fallito uscendo sconfitto dall’esperienza del deserto, lamentandosi per la mancanza di cibo, rimpiangendo il tempo in cui in Egitto si stava bene, costruendo il vitello idolatrico, proprio lì invece Gesù esce vittorioso.